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San Demetrio Corone dalla feudalità ai nostri giorni

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Riguardo all’aspetto feudale San Demetrio entrò nei domini dei principi Sanseverino di Bisignano. Nel 1597 veniva scomposto ed assegnato a titolo di dote a Bernardino Milizia come sostegno degli oneri di matrimonio. Nel 1638, per successione femminile transitò nei possedimenti dei Castriota, ma, reclamato dal Principe di Bisignano, rimase nei suoi territori dal 1732 al 1746, anno in cui venne alienato ai Campagna che ne detennero il patrimonio fino all’abolizione della feudalità, legge 2 agosto1806.

A seguito dei provvedimenti amministrativi, del 19 gennaio 1807, imposti dai francesi, San Demetrio diventava Luogo, ovvero Università nel Governo di Bisignano. Successivamente con il riordino istitutivo dei Comuni e dei Circondari, deliberato con decreto il 4 maggio 1811, veniva elevato a Circondario, nella cui giurisdizione, oltre allo stesso S, Demetrio e alla frazione di Macchia, ricadevano i Comuni di S. Cosmo, Santa Sofia e Vaccarizzo. La corrente denominazione di S. Demetrio Corone, come in precedenza accennato, venne poi assunta a partire dal 1863 dopo l’Unità d’Italia.

Centro intellettuale arbëreshë di studio e formazione di ragguardevole interesse culturale e religioso della provincia di Cosenza, che tuttora custodisce il proprio patrimonio di conoscenze, la lingua madre, le tradizioni, particolarmente quelle in occasione delle nozze e del rito bizantino, i costumi e soprattutto la propria identità etnica e il senso dell’appartenenza alle proprie origini, ospita dal 1794 il Collegio italo-albanese di Sant’Adriano, costruito accanto alla omonima Chiesa, oggi Liceo-ginnasio italo-albanese e convitto nazionale. In principio, nel 1732, come ricordava l’Abate F. Sacco, lo stesso era nato a San Benedetto Ullano come Collegio Corsini per volere di papa Clemente XII, con l’intenzione di organizzare e salvaguardare meglio, nelle diverse funzioni, la Chiesa cattolica di rito greco oggi facente parte dell’Eparchia vescovile di Lungro istituita nel 1919, per gli Albanesi di Calabria, da Benedetto XV.

Riguardo al collegio vanno menzionate alcune delle prestigiose figure formatesi al suo interno e che presero parte attiva ai moti che portarono al Risorgimento italiano. Tra queste Domenico Mauro (1812-1873), politico, letterato e patriota italiano, sostenitore delle idee liberali e risorgimentali e partecipante ai moti rivoluzionari del 1848, Agesilao Milano (1830-1856) di San Benedetto Ullano, militare che  con un attentato mise in pericolo la vita di Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, il tutto inserito in contesto politico di grave concitazione, premessa alla famosa spedizione dei Mille di G. Garibaldi, Girolamo De Rada (1814-1903) di Macchia Albanese, scrittore, poeta e pubblicista, autorevole figura del movimento culturale e letterario albanese del XIX secolo, maestro della letteratura albanese che lottò per l'indipendenza dell'Albania, e Cesare Marini (1792-1865), giurista uno dei tre difensori d’ufficio nel processo ai fratelli Bandiera.

Nel corso degli anni del Risorgimento, come ci ricorda G. Valente “[…] il paese ebbe vita inquieta specialmente a causa degli studenti del Collegio Italo-Greco che vi era stato trasferito da S. Benedetto Ullano”1. Ed è sempre dagli studi del Valente che possiamo ricordare, oltre alle straordinarie figure di cui si accennava in precedenza, anche altri nobili e interessanti personaggi della cultura sandemetrese e di coloro che, invece, presero parte al Risorgimento italiano. Tra i primi “Vincenzo Andropoli, poeta (1823-1888); Salvatore Chiodi, letterato (sec. XIX); Vincenzo Chiodi, letterato; Costantino Lopez, letterato (sec. XIX); Fedele Marchianò, filosofo (1789-1845), Giacomo Marchianò, letterato (sec. XIX); Stanislao Marchianò, filosofo; Alessandro Marini, filosofo (1733-1796); Francesco Marini, letterato (1786-1851); Salvatore Marini, letterato (sec. XIX); Demetrio Strigari, giurista (1816-1896); Demetrio Vinacci, letterato (sec. XIX). Ai fatti del Risorgimento furono variamente interessati: Stefano e don Vincenzo Ajello; Antonio Altimari, don Antonio Baffa; Domenico Barci; Luigi Bellusci; Giuseppantonio, don Nestore e don Vincenzo Cadicamo; don Francescantonio Capparelli; don Cesare, don Demetrio, don Francesco, don Michelangelo e don Vincenzo Chiodi; Adriano Conte; don Carlo Maria Corrado; Achille D’Amico; don Oronzo de Bellis; Francesco Genovese; Giovanni Giobbe; Sante Godino; Giuseppe Gradilone; Angelo Grippa; Pietro Guglielmo; Giuseppe La Manna; Angelo Lavanne; don Angelo Maria, don Demetrio, don Francesco Maria, don Michelangelo e don Raffaele Lopez; Giuseppe Lucertone; don Angelo Macchia; Francesco e Martino Macrì; don Angelo Michele, don Angelo Maria, Antonio, don Antonio, don Demetrio, Francesco Saverio, Girolamo, don Michelangelo, Pietro e Vincenzo Marchianò; don Salvatore Marini; Angelo e Saverio Mastranga; don Alessandro, don Domenico, don Luigi, don Raffaele e don Vincenzo Mauro; don Domenico, don Luigi  e don Saverio Mazziotti; Francesco Musacchio; Gaetano Nucci; Giuseppantonio, Nicola, Pasquale e Nicolino Pisarra; Adriano Ponte; Gerolamo Rada; Giuseppe e Nicola Rago; don Nicola Saraceno; Giovanni Scerba; don Nicola Strigari”2. 

La fertilità del suolo collinare e montuoso, lodata dal Barrio e dal Marafioti, rimane tuttora la condizione migliore ed essenziale per l’occupazione della comunità che fa leva sull'agricoltura e sulla pastorizia volano dell’economia del luogo. Considerevole al riguardo la produzione di olive, elemento importante che tiene in vita un artigianato locale fatto di molteplici impianti oleari, tanto da guadagnarsi l’appellativo di città dell’olio. Si produce uva da trasformare in vino, gelsi, castagni e fichi. La zootecnia partecipa allo sviluppo economico con allevamenti di bovini, caprini e suini molto spesso di razza originaria del luogo.

Anche nel suo profilo urbanistico San Demetrio custodisce la sua identità etnica e le vie, le strade, i vicoli, gli slarghi e le piazze sono dimostrazione delle antiche tradizioni.

Tra le testimonianze religiose e monumentali per il quale San Demetrio è famoso troviamo la Chiesa di Sant’Adriano, che insieme allo splendido centro storico, ho avuto il piacere di visitare avendo come guida il carissimo Adriano Mazziotti del luogo, un edificio religioso nato alla base di un rilievo detto Montesanto, non molto distante dal centro abitato, e il cui profilo architettonico è tuttora ritenuto uno dei più importanti della Regione, monumento di arte normanna sistemato su un fertile pendio. Il cenobio, secondo le informazioni più accreditate, venne costruito tra l’XI e il XII secolo sul sito nel quale, originariamente, si ergeva il grande monastero basiliano voluto S. Nilo, monaco basiliano, eremita e abate, che lo fece costruire nel 955, intitolandolo ai Santi Adriano e Natalia e che conserva tuttora importanti elementi realizzati con la tecnica del mosaico e scultorei.

La sua costruzione cenobitica venne privilegiata da San Nilo rispetto a quella eremitica seguendo proprio le regole basiliane. Infatti era noto che San Basilio, rispetto all’eremo amava i cenobi in quanto li considerava come spazi nei quali si poteva pregare e lavorare in maniera collegiale facilitando così le relazioni tra i monaci e quindi contare sulla loro reciprocità collaborativa e comunitaria.

Questo poi venne ridotto in rovine a seguito delle incursioni saracene, ma al tempo di Nilo in breve tempo diventò il più importante centro monastico di spiritualità e della cultura in Calabria. Architettonicamente, la struttura primitiva della chiesa è espressione dell’arte romanica, sviluppatasi appunto tra il X e il XII secolo fino al trionfo dell’arte gotica. Il suo ingresso è sovrastato da campanile. Al suo interno si possono ammirare le tre navate preservate da una copertura lignea affrescate con decorazioni pittoriche di elementi bizantini ritraenti figure dei santi basiliani. Nell’abside è visibile la scena della presentazione di Maria al Tempio, mentre al termine della navata centrale, in una volta a calotta di stile barocco è rappresentato il Creatore insieme a santi monaci, suore e san Nilo in preghiera davanti al Cristo in Croce e la mano destra distesa nella volontà di benedirlo. Al principio della navata centrale, si può contemplare un’acquasantiera con capitello corinzio certamente di epoca bizantina, e una ulteriore conca in pietra calcarea. Alla fine delle navate trovano posto due colonne di legno sagomate e capitelli intagliati verosimilmente del 1200. Sull’altare maggiore, opera secondo le diverse fonti di Domenico Costa, la cui datazione si fa risalire al 1731, spicca una tela del Martirio di Sant’Adriano verosimilmente di Francesco Saverio Ricci, una delle figure artistiche di rilievo della Calabria del XVIII secolo, mentre ai rispettivi lati della tela presenti in due nicchie sono sistemati i due busti lignei di Sant’Adriano e Santa Natalia risalenti al 1600. Sulla sinistra dell’altare è ritratta la Madonna con San Nilo e San Vito, invece sulla destra è raffigurato San Basilio. Il pavimento a mosaico risalente al XII secolo, che richiama molto anche quello del Patirion di Rossano, è il vero capolavoro dell’Abbazia. Molte sono le sculture in pietra presenti sia alle pareti e si poste sul pavimento. Vi sono custodite, inoltre, alcune decorazioni lignee presenti nell’altare maggiore, mentre nella sagrestia si trovano un reliquario in argento, un braccio sempre in argento di S. Adriano del XVI secolo e parato e mitra del XVIII secolo in tessuto e lamina d’oro.

Tra gli altri edifici religiosi troviamo anche la Chiesa di san Demetrio Magalomartire, Chiesa Madre del luogo appartenente, ovviamente, all’Eparchia di rito greco bizantino di Lungro. La sua precedente costruzione in stile barocco è stata in seguito trasformata alle esigenze dello stile greco-bizantino. Non meno importante la Chiesa parrocchiale della frazione di Macchia Albanese, consacrata a Santa Maria di Costantinopoli all’interno della quale è situata la tomba del grande Girolamo de Rada.

Tra i monumenti presenti in città quelli dedicati ai Caduti per la Patria, a san Pio di Pietrelcina, ed infine quello intitolato all’eroe nazionale albanese, Giorgio Castriota Scanderbeg. Tra le cose di pregio troviamo il Museo Etnografico luogo di enorme valore culturale.

 

BIBLIOGRAFIA

[1] G. VALENTE, Dizionario della Calabria, M-Z, Edizione Frama’s, Chiaravalle Centrale (CZ), 1973, p. 864.

[1] Ibidem, G. VALENTE, p. 865-866.

 

Per leggere la prima parte del saggio storico su “San Demetrio Corone, rilevante centro di religiosità e culturaclicca qui

 

Franco Emilio Carlino
Autore: Franco Emilio Carlino

Nasce nel 1950 a Mandatoriccio. Storico e documentarista è componente dell’Università Popolare di Rossano, socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria e socio corrispondente Accademia Cosentina. Numerosi i saggi dedicati a Mandatoriccio e a Rossano. Docente di Ed. Tecnica nella Scuola Media si impegna negli OO. CC. della Scuola ricoprendo la carica di Presidente del Distretto Scolastico n° 26 di Rossano e di componente nella Giunta Esecutiva. del Cons. Scol. Provinciale di Cosenza. Iscritto all’UCIIM svolge la funzione di Presidente della Sez. di Mirto-Rossano e di Presidente Provinciale di Cosenza, fondando le Sezioni di: Cassano, S.Marco Argentano e Lungro. Collabora con numerose testate, locali e nazionali occupandosi di temi legati alla scuola. Oggi in quiescenza coltiva la passione della ricerca storica e genealogica e si dedica allo studio delle tradizioni facendo ricorso anche alla terminologia dialettale, ulteriore fonte per la ricerca demologica e linguistica