DI MARTINA CARUSO «Il Sud? Rischi a priori minori rispetto al Nord, forse potrebbe essere riaperto prima». Parola di un team di studiosi dell’università di Catania che, nei giorni scorsi, ha pubblicato la ricerca dal titolo A Novel metodology for epidemic risk assessment: the case of COVID-19 outbreak in Italy. Una squadra multidisciplinare fatta di medici, fisici, economisti, ingegneri e matematici (Andrea Rapisarda, Alessio Biondo, Giuseppe Inturri, Vito Latora, Alessandro Pluchino, Rosario Le Moli, Giovanni Russo, alla ricercatrice Nadia Giuffrida e alla dottoranda Chiara Zappalà) al fine di rispondere a una domanda: «Perché i decessi e i casi gravi sono localizzati prevalentemente nel Nord Italia? Come si spiega questa discrepanza con il Centro-Sud? È stato questo il nostro punto di partenza». L’intenzione non era quella di stabilire rapporti di causa ed effetto, ma evidenziare le relazioni tra sette parametri e il numero dei contagi. Il modello che ne è venuto fuori è una mappa dell’Italia che fotografa le regioni a più alto rischio e quelle in cui, invece, il rischio epidemico è più basso. Dall'analisi, infatti, le regioni italiane più a rischio rispetto alla diffusione e al maggiore impatto dell’epidemia sono anche quelle in cui in effetti questo è accaduto: Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna. Le variabili usate nel caso del Covid-19 riguardano anche gli spostamenti della popolazione tra Comuni diversi, quanto sono compatte le città e la densità delle strutture ospedaliere e, poi, il fattore
età. Ma anche l’inquinamento, la quantità di Pm10 nell’aria, perché spesso l’esposizione prolungata a un’aria non pulita produce individui con difficoltà respiratorie pregresse. Per fare fronte all'emergenza e limitare il contagio, “essenzialmente, sono state adottate delle misure di politica economica molto drastiche e uguali per tutte le regioni, ma
se riaprissimo domani, non avendo ancora una cura disponibile, che cosa avremmo costruito per affrontare la situazione meglio di quanto non avessimo all’inizio dell’emergenza? La ricerca ne dà una risposta: «Le regioni che hanno un rischio minore potrebbero essere riaperte prima. Sarà inevitabile convivere con il virus, ma non necessariamente tutti allo stesso modo. E magari anche con misure differenziate tra categorie diverse di popolazione. Ferme restando le buone pratiche di prevenzione e di distanziamento sociale».