Civitavecchia sì, Corigliano-Rossano buh?!
Mentre il Mimit avvia a Civitavecchia il tavolo tecnico per la riconversione della ex centrale Enel, a Corigliano-Rossano la centrale di Cutura-Sant'Irene resta senza un futuro certo mentre il popolo attende l'ennesima occasione per rammaricarsi
ROMA - A Civitavecchia il Ministero delle Imprese e del Made in Italy convoca un tavolo tecnico, analizza 48 progetti di reindustrializzazione, avvia un percorso di rilancio condiviso con Regione Lazio, Comune e Invitalia. A Corigliano-Rossano, invece? Nulla. O quasi. La centrale termoelettrica, un tempo colosso produttivo del Mezzogiorno, oggi è in piena fase di smantellamento che cammina così a rilento da sembrare totalmente fermo.
Il programma Futur-E di Enel, nato per restituire nuova vita all'ex polo produttivo di località Cutura-Sant'Irene e ad altri venti impianti dismessi in Italia, qui si è fermato a un nulla di fatto. Una promessa rimasta sospesa, archiviata senza mai decollare.
E allora la domanda è inevitabile: perché a Civitavecchia sì e a Corigliano-Rossano no? Perché per Torrevaldaliga Nord lo Stato si muove con decisione, mentre per la Sibaritide regna il silenzio? È una domanda che ci poniamo da sempre senza, però, avere alcuna risposta.
Le torri camino di Cutura restano lì, scheletri di cemento e amianto che incombono sulla città. La loro demolizione è ferma da mesi, i lavori dovrebbero riprendere ad ottobre e si concluderanno – forse – nel 2026. Nel frattempo cinquanta lavoratori campano nell’incertezza, impiegati a singhiozzo in attività di smantellamento. E sul “dopo”, sull’idea di un nuovo polo produttivo, industriale o fieristico, è piombato il buio.
C’è un paradosso che stride: mentre il Governo, dicevamo, investe energie e coordinamento su Civitavecchia, la Calabria del Nord-Est resta tagliata fuori dai radar nazionali. Non è solo questione di progetti industriali, è questione di dignità territoriale. Perché un’area come quella della Sibaritide, già provata dal declino agricolo e dalla desertificazione industriale, non può permettersi il lusso di lasciare marcire un sito che potrebbe essere leva di sviluppo.
Eppure, anche qui, la responsabilità non è soltanto delle istituzioni. La vicenda BH nel porto di Corigliano-Rossano insegna: tanto clamore iniziale, tante promesse, poi silenzio. E la città? Il territorio? Il popolo? Rimane a guardare, si lamenta dell’ennesima occasione sprecata, ma non alza mai davvero la voce per pretendere risposte, per rivendicare un futuro certo, concreto, vero.
È qui il nodo. Senza una mobilitazione dal basso, senza una pressione civile forte e continua, il rischio è che Corigliano-Rossano diventi l’ennesimo simbolo di occasioni perdute. Le ciminiere cadranno, prima o poi. Ma se insieme a loro non nascerà un progetto di sviluppo serio, resterà solo polvere.