Devianza giovanile: la parola allo psicoterapeuta di Corigliano
La Moglie: «Dall’egemonia paterna incentrata sul divieto, alla cultura affettiva ispirata a valori materni»
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CORIGLIANO-ROSSANO - È giunta alla conclusione la ricerca promossa ed organizzata dal Centro studi Cresesm sulla devianza giovanile contemporanea: in dettaglio il disadattamento di adolescenti e giovani in famiglia, a scuola e nella società. Attraverso il contributo di vari professionisti è stato affrontato il problema tentando di accertarne le cause, gli effetti deleteri in vasti strati della società e i possibili rimedi. Sono intervenuti psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, sessuologi, docenti, avvocati, genitori. Alcuni si sono rifiutati di intervenire non aderendo all’invito loro rivolto.
Da registrare l’intervento del dottor Antonio La Moglie, psicologo e psicoterapeuta operante a Corigliano: «Dalla postazione dalla quale ho sempre letto questo tema sembrerebbe che proprio la scarsa visibilità della figura paterna sia all’origine di una gioventù fragile, dai lineamenti confusi e pertanto spesso incapace di delineare il proprio futuro e di pensare un suo ruolo nella società, nel lavoro ma anche nella vita affettiva di coppia».
Proprio i giovani stanno attraversando cambiamenti psicologici e biologici: «Con la pubertà avvengono dei cambiamenti psico-biologici, che piaccia o no, catapulta il fresco reduce dall’infanzia nell’ orizzonte dei giovani adulti e quindi con atteggiamenti diversi verso l’assunzione di responsabilità. Si cambia nel corpo e si cambia nella mente e la scuola appare il luogo più accreditato per rimarcare al preadolescente che le cose non sono più le stesse, che i primi 11 anni sono andati e che ora non sono più enfatizzati i bisogni ma la capacità e la competenza. Il processo di adattamento non è facile e succede spesso che i primi due anni delle scuole medie facciano traballare la propria stima scolastica ed accusino dell’inquietudine che possono esprimersi con tentativi di rifugio all’indietro e quindi insistere su comportamenti francamente infantili o con tentativi di boicottare i programmi didattici».
Innegabile anche il ruolo dei dispositivi mobili: «Oggi c’è la playstation e il cellulare, soprattutto quest’ ultimo occupa gran parte della giornata dei nostri ragazzi. Devo precisare che il cellulare è diventato uno strumento talmente invasivo che ne sono coinvolti anche coloro che ormai da anni non sono più ragazzi. E il cellulare, spesso, suo malgrado, si trova a coprire un vuoto affettivo e relazionale che in realtà non riesce e non può mai appagare. Il cellulare ha la capacità di portarci in un altro mondo e di estraniarci dalla realtà, forse sul corpo non ha gli effetti devastanti dell’eroina ma di sicuro, sulla mente, ha lo stesso effetto estraniante e sedativo. Per la dipendenza che riesce a creare e l’effetto di apparente benessere si pone come l’attuale e futura tossicodipendenza»
La domanda che sorge spontanea e se la scuola è riuscita ad aggiornare i suoi metodi educativi alle mutate esigenze dei giovani contemporanei: «Su questa scia si è mossa anche la scuola: più attenta ai bisogni che non alla promozione di capacità e competenze. Gli zaini dei nostri ragazzi sono sempre più pesanti ma impotenti a riempire la testa dei nostri ragazzi di conoscenza e sapere. Non vengono invitati ad imparare le poesie a memoria e neanche ci si affatica nella comprensione di un testo letterario. Il risultato è che rimangono pochi concetti delle elementari, pochi delle medie e anche delle Superiori. Si arriva giovani adulti che si fatica nella comprensione di un testo. Si è ignoranti pur avendo fatto tutto il percorso di studi e pur avendo portato tanto peso sulle spalle. Si capisce che c’è qualcosa che non torna. La scuola non deve essere solo luogo di appagamento di bisogni ma anche e soprattutto promuovere capacità e competenze. Se i ragazzi escono dalla scuola con scarse conoscenze ciò diventa un grave problema non solo per la collettività ma anche per il ragazzo che troverà seri problemi nel cercare una sua collocazione in un mondo sempre più difficile e complesso. Le umiliazioni e le frustrazioni che tanto si vogliono evitare poi inevitabilmente se le troveranno davanti. Ma anche le Università private sono nate allo scopo di fare meno fatica: prendere un titolo accademico col minor sforzo possibile».
Infine, il ruolo dei genitori: «Anche qui c’è la collusione dei genitori che investono soldi su qualcosa che appaga più a livello narcisistico che non a livello di sostanza. Si capisce che se mancano le competenze si fa ancora più fatica delineare il proprio futuro, inevitabilmente si brancola nel buio e quando poi ci si trova davanti alla necessità di spiccare il volo si è bloccati dagli attacchi di panico. Si tenga presente che la gravità del disagio mentale è dato dalla discrepanza che si viene a creare nel soggetto tra età cronologica ed età mentale ed emotiva. Abbiamo così davanti dei corpi adulti con cervelli infantili. E l’infanzia diventa il loro eterno rifugio. È il guaio minore che ne può derivare, è l’insorgere di una costellazione diversificata di sintomi nevrotici. Nel peggiore dei casi è l’insorgere di comportamenti devianti e psicopatici».