Chi resta e chi torna, insieme «si può spezzare la maledizione della fuga»
Monsignor Savino ha affrontato il tema dell'immigrazione che depaupera il nostro territorio di tanti giovani talentuosi che cercano un futuro migliore altrove, senza dimenticare quanti restano con altrettanto coraggio, affrontando le difficoltà oggettive che si incontrano nel vivere in Calabria

CASSANO JONIO - Il Natale è la festa del ritorno. Tanti si preparano a rientrare nella nostra Regione per queste imminenti festività, nonostante i notevoli aumenti dei prezzi dei biglietti di treni, autobus e aerei; perché tornare è ossigeno, è rivedere i propri affetti, è rivivere le tradizioni. Perché non tutti lasciano la Calabria con leggerezza e gioia, ma spinti da diverse necessità: un lavoro che manca; una sanità non sempre all'altezza; un futuro incerto.
Monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana e Vescovo della Diocesi di Cassano, in una recente intervista rilasciata al giornalista Angelo Badolati, ha affrontato il tema dell'immigrazione che depaupera il nostro territorio di tanti giovani talentuosi, che cercano un futuro migliore altrove, senza dimenticare quanti restano, con altrettanto coraggio, affrontando le difficoltà oggettive che si incontrano nel vivere in Calabria, e in particolar modo nella Calabria del nord est.
«A chi torna - afferma il Vescovo di Cassano - il Natale è molto più di una celebrazione: è una chiamata. Tornare non è un gesto rituale, ma un’opportunità sacra per guardare con
occhi nuovi ciò che abbiamo lasciato. È il momento di spezzare la catena della nostalgia sterile e trasformare il ricordo in azione, la memoria in progetto. Ogni ritorno può diventare una fiamma che riaccende le luci di questa terra, troppo spesso immerse nell’ombra dell’abbandono».
In questa riflessione l'atto di tornare, quando è compiuto con consapevolezza, acquista un nuovo peso, diventa addirittura «un atto rivoluzionario: è riscoprire che le
radici non sono un vincolo, ma una forza. Chi torna porta con sé il bagaglio di esperienze, di visioni e di conoscenze acquisite altrove. Ogni ritorno può essere la scintilla che innesta una nuova cultura di crescita e di cambiamento».
Nelle parole del Vescovo ritornare in Calabria «è un riannodare fili spezzati, un ridare voce a storie dimenticate. È il momento di trasformare il rientro in un dialogo tra passato e futuro, tra chi parte e chi resta, perché è solo insieme che questa terra può riscoprire la sua bellezza».
Ed è proprio nel periodo di Natale che si può compiere quello che Monsignor Savino chiama «gesto radicale: trasformare ogni distanza in un ponte. È il tempo di rifiutare l’idea che l’emigrazione sia un destino inevitabile e di riscoprire che la vera ricchezza della Calabria non è sotto terra, ma nelle mani, nei cuori e nelle menti di chi sceglie di restare e di chi ha il coraggio di tornare. La Calabria non ha bisogno di compassione, ma di visione, audacia e unità. Perché solo unendo questi due cuori (chi resta e chi torna) si può spezzare la maledizione della fuga e ridisegnare il volto di una terra che attende solo di risorgere».
Non manca anche un messaggio per quanti si preparano ad accogliere chi ritorna: «a chi resta, vorrei rivolgere un pensiero di incoraggiamento e gratitudine ma anche un grido che è insieme ringraziamento e accusa. Rimanere in una terra che spesso sembra sorda ai propri figli e cieca di fronte alle sue immense potenzialità è un atto di amore ribelle e resistenza profetica. Voi non siete semplici custodi: siete i seminatori del futuro, i guerrieri silenziosi di una Calabria che si rifiuta di piegarsi alla rassegnazione. Il vostro impegno quotidiano è un grido che sfida l’indifferenza e tiene viva una comunità che merita molto di più di ciò che le viene restituito».
La "restanza" è alimentata da una forza silenziosa, inarrestabile, che deve nascere dalla consapevolezza, dall'amore per la propria terra e dalla volontà di costruire un futuro migliore.
Così come si augura il direttore Marco Lefosse nel suo ultimo Corsivo, dedicato proprio alla necessità di riconnettersi alle proprie radici, di conoscerle, di amarle e di rivendicarne il meglio in prima persona.
Come sottolinea lo stesso Vescovo di Cassano «rimanere in Calabria richiede coraggio poiché spesso le Istituzioni vi abbandonano, la politica si piega a proclami vuoti ed il sistema si accontenta di sopravvivere rendendosi colpevole e quindi responsabile di questo tradimento che dura da troppo tempo. Non lasciate che il silenzio delle istituzioni vi spenga; siate la scintilla di un incendio di speranza perché ricordatevi che la Calabria non è povera, è stata resa povera; non è priva di speranza è stata privata di essa da chi ha pensato a riempire le proprie tasche lasciando a voi, solo il peso del deserto della disillusione. Il
vostro coraggio è la radice di una rinascita possibile, perché ogni scelta di restare
è un atto di fiducia nel potenziale inespresso di questa terra. È attraverso di voi che questa terra ritrova la sua dignità, ed è grazie alla vostra perseveranza che le
fondamenta di un futuro diverso vengono gettate».
Un messaggio forte, non solo carico di speranza per chi resta, ma anche di biasimo nei confronti di quanti hanno "riempito le proprie tasche" a discapito degli altri.
Il vero cambiamento parte dalla consapevolezza che la "colpa" non può e non deve risiedere in quanti partono o in quelli che restano, ma nelle catene costruite nel tempo da quanti hanno avuto il potere di cambiare le cose, e lo hanno usato solo per un tornaconto personale.