L'eredità del giudice Rosario Livatino, una vita al servizio dello Stato - VIDEO
Si è conclusa la mostra "Sub tutela Dei" illustrata con cura dagli studenti del Polo Liceale. Il dirigente Perna: «Questa figura ha lasciato in eredità un messaggio importante per i giovani: la lotta alle devianze e il valore della legalità»
CORIGLIANO-ROSSANO – Si è conclusa venerdì 22 novembre la mostra itinerante “Sub tutela Dei. Il giudice Rosario Livatino” ospitata nell’atrio del Liceo Scientifico di Rossano e organizzata dall'Ufficio Diocesano Scuola dell'Arcidiocesi di Rossano Cariati in collaborazione con il Polo Liceale – “LS-LC-LA” Rossano.
Un’occasione per raccontare e ricordare la figura del giovane magistrato ucciso alla mafia a soli 38 anni nel settembre del 1990. La mostra, divisa in quattro sezioni e composta da 35 pannelli, è stata curata dagli studenti delle classi IV C del Liceo Classico e III e V C del Liceo Scientifico, i quali hanno accompagnato i gruppi di visitatori alla scoperta della figura di Rosario Livatino raccontando i momenti salienti della sua vita da martire dello Stato.
I temi trattati nel percorso hanno riguardato la vita e la formazione, la professione, il martirio, la beatificazione e l’eredità di Rosario Livatino. Ed è proprio su quest’ultimo aspetto che insiste l’intero progetto che ha tra sue finalità quella di tramandare il messaggio di vita del magistrato attraverso le testimonianze di donne e uomini che in vari modi lo hanno conosciuto ed incontrato.
«Le tragedie che l’Italia ha vissuto in quegli anni – ha spiegato il Dirigente Alfonso Perna - hanno rappresentato per noi giovani di allora la lotta dello Stato alla mafia e a tutte le devianze sociali. Era il periodo della mattanza dei giudici, soprattutto in Sicilia, ma la cosa che più ci colpì di questa figura era la sua purezza. Era un ragazzo di Azione Cattolica, che credeva nello Stato e che ha saputo osteggiare con forza e integrità morale il fenomeno mafioso di quegli anni. Da allora sembra che la mafia sia scomparsa, in realtà ha preso solo altre forme».
Poi si chiede: «Quel è allora l’aspetto rilevante di questa storia? Non la celebrazione della figura del giudice fine a se stessa ma l’importanza del messaggio che rappresenta e che, ancora oggi, parla ai giovani di un valore su tutti: quello della legalità. Negli ultimi anni le devianze hanno preso altre strade, se vogliamo più trasgressive e difficili da intercettare, e queste figure possono ispirare ed essere un esempio».
Le sezioni
Nella prima sezione vengono presentati i temi centrali quali l’educazione familiare, parrocchiale, il contesto storico in cui è vissuto - con particolare attenzione alla presenza mafiosa - la sua profonda religiosità e la sua grande umanità.
La seconda sezione è dedicata al Livatino giudice dando spazio alla sua concezione del magistrato quale operatore di giustizia. Sono, inoltre, spiegati il particolare contesto storico-criminale entro il quale Livatino era chiamato ad operare. È infine raccontato come al difficile contesto sociale ed alla scarsità di mezzi egli abbia risposto mettendo in campo la sua intelligenza, la sua passione, il suo impegno ed il suo estremo rigore professionale nella ricerca della verità e della giustizia, al servizio del bene comune, tanto da attirare l’attenzione dei mafiosi, che decisero poi di eliminarlo.
Nella terza sezione vengono trattati il martirio e la beatificazione di Livatino e viene introdotta la figura di Piero Ivano Nava, testimone chiave nei processi per l’assassinio del giudice che, avendo scelto di testimoniare contro la mafia, ha avuto la vita sconvolta ed è tutt’ora costretto a vivere sotto copertura. È illustrato, in particolare, quale fu il movente specifico che indusse la mafia a decidere di eliminare il giudice Livatino e sono descritte le modalità esecutive dell’assassinio; sono, inoltre, ripercorse le fasi del processo canonico sino alla beatificazione.
Nella quarta sezione, infine, si dà atto dell’eredità lasciataci da Livatino nella resistenza alla mafia. Qui sono affisse le riproduzioni di due lettere commoventi e drammatiche: una scritta da uno dei mandanti dell’omicidio, Salvatore Calafato, e l’altra scritta da uno degli esecutori, Domenico Pace, testimonianza di un sacrificio che ha toccato anche i criminali responsabili dell’omicidio.