Porti e criminalità organizzata, Libera ha presentato il report "Diario di Bordo"
Su 66 clan operanti nei 54 porti italiani inseriti nelle reti criminali, 41 appartengono alla 'ndrangheta. Una fotografia che restituisce la capillarità di un sistema che conta sempre più di soggetti appartenenti all’area dell’economia legale
CORIGLIANO-ROSSANO – Le modalità e gli andamenti dei fenomeni criminali mafiosi nelle aree portuali, legati ai traffici, agli interessi economici e alle infrastrutture ad esse connesse sono stati i temi al centro dell’iniziativa di presentazione del rapporto “Diario di Bordo. Storie, dati e meccanismi delle proiezioni criminali nei porti italiani” curato da Francesca Rispoli, Marco Antonelli e Peppe Ruggiero e pubblicato da Libera contro le mafie, tenutosi sabato scorso nella sede di Mondiversi a Corigliano-Rossano.
L’evento ha visto la partecipazione, per i saluti istituzionali, del Sindaco della Città di Corigliano Rossano, Flavio Stasi, che nel suo intervento ha ribadito la necessità di tracciare una strada nuova che possa aiutare gli amministratori a far sì che gli strumenti, le proiezioni e i dati sulla criminalità non restino fine a sé stessi ma diventino «atti concreti», che diano vita ad un reale cambiamento. «L’antimafia – ha rimarcato – non può più essere un interesse elitario, l’antimafia deve farsi popolo».
Ad offrire uno spunto su quali siano, oggi, le domande da porsi rispetto al fenomeno mafioso è stato, invece, il Comandante del Porto di Corigliano Rossano, Francesco Esposito. «Banalmente – ha affermato – le domande rispetto al fenomeno restano sempre le medesime: cos’è la mafia e che cos’è l’antimafia?». E sulla trasformazione delle modalità di intervento e risposta delle organizzazioni invita ancora a chiedersi: «È terminata la fase stragista perché lo Stato è riuscito a fermarli o perché hanno compreso come fare a divenirne parte?». Un commento è stato poi riservato agli interessi legati alla nostra infrastruttura portuale: «Il ruolo del Porto di Co-Ro – afferma - risulta ancora marginale nei fenomeni di criminalità poiché se non c’è chi fa affari allora non ci sarà nemmeno chi è interessato al malaffare».
La parola è passata quindi e al referente regionale di Libera Calabria, Giuseppe Borello, il quale ha evidenziato il doppio standard morale d’intervento dello Stato e il cinismo della politica che da un lato promuove occasioni per ricordare e commemorare le stragi che hanno segnato la storia del nostro paese e le personalità che si sono battute in nome della giustizia, e dall’altro approva misure come la limitazione dell’abuso d’ufficio, la legge bavaglio, la stretta sulle intercettazioni, l’autonomia differenziata ecc. che di fatto spalancano le porte al fenomeno mafioso e alimentano il malaffare.
Si è poi entrati nel vivo del dibattito sul report insieme al coautore della ricerca, Marco Antonelli, che con il Presidente federazione nazionale "Stella Maris", Luigi Leotta, ha presentato e spiegato le finalità dello studio condotto.
Dall’analisi dei dati provenienti dalla rassegna stampa Assoporti, dalle relazioni della Commissione Parlamentare Antimafia, della DIA, della DNAA, dell’Agenzia delle Dogane e della Guardia di Finanzia è stato confermato che «gli scali marittimi rappresentano per i gruppi criminali un’opportunità per incrementare i propri profitti e per rafforzare collusioni. I porti, infatti, possono essere considerati come un punto di arrivo, transito, scambio e intersezione, in cui persone e merci si muovono e vengono movimentate, generando ricchezza: da un lato i business creati dai traffici, dall’altro gli investimenti necessari per mantenere le infrastrutture operative, entrambi possibili campi di espansione degli interessi criminali».
Ma la linea di confine che determina ciò che avviene nell’ambito del «legale» e dell’illegale risulta sempre più indefinita. Le mafie (‘ndrangheta, camorra e cosa nostra), rappresentano solo una parte delle organizzazioni criminali che operano nei porti italiani (su 66 clan criminali operanti nei porti, 41 appartengono alla ‘ndrangheta). «Questi – infatti - non sono gli unici attori coinvolti, dato che, come hanno mostrato numerose inchieste, spesso è necessario il contributo di più soggetti, in molti casi appartenenti all’area dell’economia legale: lavoratori del porto, dipendenti pubblici, imprenditori e professionisti dell’economia marittima».
«Il successo dei mafiosi – spiegano nel report - è spesso dovuto alla capacità di individuare i giusti canali e le giuste connessioni che consentono loro di evitare i numerosi vincoli del sistema economico e politico presenti a protezione della realtà portuale. Spesso questo avviene attraverso mezzi formalmente leciti, seguendo le leggi dell’economia portuale, che sono leggi di mercato».
Un altro tema da considerare è la tipologia dei porti che si lega sempre più alla tipologia di impresa illecita che una data organizzazione vuole attuare. Infatti, «non è soltanto la geografia – e la collocazione geografica – del porto a fare la differenza, ma la possibilità per gli attori criminali di sfruttare le opportunità specifiche del contesto».
Questa diversificazione ha spostato gli interessi in altre località creando una rete di malaffare che interessa ormai 54 porti italiani, divenuti oggetto di proiezioni criminali.
«Nel corso del 2022 – segnala ancora il report di Libera - all’interno dei porti italiani si sono registrati 140 casi di criminalità, circa un episodio ogni 3 giorni, che sono avvenuti in 29 porti, di cui 23 di rilievo nazionale, che corrispondono al 40%. Dei 140 casi, l’85,7% (120) riguarda attività illegali di importazione di merce o prodotti, il 7,9% (11) riguardano attività illegali di esportazione di merce o di prodotti, il 2,9% (4) riguarda sequestri di merce in transito, mentre il restante è relativo ad altri fenomeni illeciti non classificabili. Analizzando le attività portate avanti dagli attori criminali, possiamo notare che solo una minima parte (4) riguardano la proiezione nell’economia legale del porto, mentre in 136 casi si tratta di attività illecite».
Una situazione allarmante, dunque, che impone una riflessione rispetto alle azioni di contrasto alla criminalità organizzata e alle capillarità di un sistema che sembra aver raggiunto gli anfratti più profondi della struttura socio-economica del paese.