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Le Lampare illuminano le notti d'estate: il rito antico di una pesca senza tempo

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CARIATI - «Poi mi piace scoprire lontano/ Il mare se il cielo è all'imbrunire/ Seguire la luce di alcune lampare/ E raggiunta la spiaggia mi piace dormire». Così Rino Gaetano cantava il Sud e, con esso, le immagini e i ricordi legati alla sua terra; sullo sfondo una pratica antica e suggestiva tipica delle comunità affacciate sul mare: la pesca con le lampare.

Un metodo antichissimo che affonda le sue radici nell’antico Egitto e che ha attraversato i secoli giungendo fino a noi pressoché inalterato nel rituale.

In passato, questa tipologia di pesca, veniva effettuata grazie all’ausilio di legnetti di pino che venivano raggruppati in fasci e poi bruciati. La fiamma prodotta permetteva così di illuminare l’intero fondale sottostante. A questo punto i pesci, attratti e storditi dalla fonte luminosa, risalivano in superficie, pronti per essere catturati mediante l’utilizzo di reti e fiocine.

Oggi il meccanismo di cattura è il medesimo mentre la luce viene prodotta, appunto, dalla Lampara: un tipo di lampada molto grande e potente, montata su una o più barche e da cui prendono il nome i pescherecci.

Dalle nostre parti uno dei borghi marinari che ha custodito e tramandato quest’arte legata al mare è sicuramente Cariati.

Per capire cosa sia rimasto dei gesti antichi e dei saperi che ancora oggi sopravvivono tra i pescatori e lungo le nostre coste, abbiamo intervistato Damiano Montesanto, ex sindaco di Cariati e custode di cultura e tradizioni popolari.

«Un tempo – ci racconta Montesanto – i gozzi (barche) che uscivano in mare erano generalmente tre e ciascuno aveva la sua lampara. Successivamente, per ottimizzare tempi e costi, si passò a due gozzi con due lampare ciascuno. Queste imbarcazioni comunicavano alla barca madre quando e come posizionare le reti».

«A dare direttive dalle lampare era il “lucista”, generalmente anziano, che si accompagnava ad un pescatore più giovane. Il “lucista” monitorava costantemente il fondale e gettando la sabbia in acqua (che era sempre presente sulla poppa del gozzo) capiva direzione e intensità della corrente. A questo punto la barca madre calava la rete di circuizione o “cianciolo”, mentre le lampare, guidate dai più giovani, venivano pian piano spostate verso la riva».

«La rete di circuizione, utilizzata per questo tipo di pesca, è composta generalmente da due elementi in ferro su cui venivano legati due cavi che passavano attraverso gli anelli presenti lungo tutta la lunghezza della rete. Quando i pesci erano ormai intrappolati la rete veniva chiusa tirando a mano i cavi. Con un “coppo”, poi, i pesci venivano recuperati e riversati nelle apposite casse presenti sul gozzo. Il pesce pescato era ed è, prevalentemente, pesce azzurro. Questa operazione, detta “calata”, avveniva due volte e poteva essere di due tipi: “della serata” o “dell’alba”, tutto dipendeva dalla luna. La luna è infatti nemica della pesca con le lampare perché rende vano l’utilizzo della fonte luminosa presente sulle imbarcazioni».

«Le antiche lampare – ci spiega ancora Montesanto - erano composte da una parte in metallo e da un corpo centrale in vetro dentro al quale si illuminavano le “retine”. Le retine erano molto delicate ed il minimo movimento poteva ridurle in cenere, causando così lo spegnimento della lampara. L’abilità dei pescatori risiedeva proprio nel mantenere viva la fonte luminosa maneggiando con cura i dispositivi».

Oggi queste pratiche sono state sostituite da imbarcazioni e sistemi meccanici. L’unico elemento rimasto immutato è proprio la luce della lampara che illumina ancora il fondale e abbaglia i pesci proprio come faceva secoli e secoli fa.

La suggestiva foto in copertina è di Pasquale Trento ed è stata pubblicata sul Gruppo Social "Escia a Mare Cariati"

Rita Rizzuti
Autore: Rita Rizzuti

Nata nel 1994, laureata in Scienze Filosofiche, ho studiato Editoria e Marketing Digitale. Amo leggere e tutto ciò che riguarda la parola e il linguaggio. Le profonde questioni umane mi affascinano e mi tormentano. Difendo sempre le mie idee.