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Di bombe, colori e magie... viaggio tra i maestri della pirotecnica jonica custodi dell'arte d'oriente

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CORIGLIANO - ROSSANO – Sulle mani porta i segni del mestiere. «I fuochi d’artificio me li sogno ancora la notte, tornassi indietro sceglierei altre cento volte questo lavoro». Fiore Golluscio, maestro fuochista, ci ha aperto le porte di casa ma soprattutto la scatola dei ricordi.  

Classe 1935, si prepara a spegnere 88 candeline a settembre. «Ho iniziato poco più che quindicenne, la mia guida è stata il maestro Domenico Bellafante, con il quale avevamo un laboratorio a Celadi. Poi – prosegue – quando ci ha lasciati, abbiamo aperto la fabbrica a Santa Croce a Rossano».

E dal balcone di casa si vede proprio il caseggiato in cui il signor Golluscio, con suo fratello, ha trascorso gran parte della sua vita fabbricando, con quelle stesse mani che ancora oggi parlano di un mestiere in via di estinzione, quei giochi pirotecnici che hanno allietato tante feste di paese. In zona erano forti. Fortissimi. Venivano chiamati per celebrare patroni, feste religiose, capodanni. Le amministrazioni comunali sceglievano i Golluscio per suggellare i momenti più importanti della vita collettiva.

«A Capodanno Duemila – e lo sguardo di mastro Fiore si illumina – abbiamo “sparato” sia al centro storico che allo Scalo, per un totale di trenta milioni di lire di fuochi». Ed è l’aspetto manuale, la costruzione vera e propria di queste bombe luminose capaci di disegnare nel cielo fontane e salici piangenti, che manca di più al signor Fiore.

Mastro Fiore Golluscio

«Fabbricavamo i fuochi dalla A alla Z - ci racconta» -. Poi si siede, prende un foglio e un pennarello, e tra nostalgia e ancora tanta voglia di fare ci disegna com’è fatta “una bomba”. «Persino i colori creavamo da soli». Quindi ci parla di nitrato di potassio, zolfo, carbone. «È come utilizzare la farina. Si seleziona la quantità, si impasta e si formano le palline con i colori».  La sensazione è quella di stare per metà in un laboratorio di chimica e per metà in uno studio d’arte dove si dipinge con quelle piccole perline colorate che si inseriscono nell’involucro del fuoco e che poi tracciano linee scintillanti nell’aria.

Poi c’era tutto il rituale, i segnali. «I primi tempi, mica c’erano i telefonini». La sera della festa, con la gente in piazza e voi a valle pronti a dare il via allo spettacolo pirotecnico, come vi regolavate? «Qualcuno lanciava un bengala dalla piazza stessa, oppure venivano suonati degli squilli di tromba. Noi allora capivamo e iniziavamo a sparare».

Un fuoco d’artificio veniva a costare mediamente per la sua fabbricazione tra le 80 e le 100 mila lire. Sono 15 anni però che il maestro Fiore, affiancato da suo figlio Antonio, che dopo il militare ha sposato questa attività a tempo pieno, i fuochi non li fabbrica più. Si limita a venderli. Dunque quel caseggiato di campagna a Santa Croce adesso è diventato un deposito.

«Li compriamo a Napoli – spiegano – anche se ormai sono praticamente tutti prodotti cinesi. Le regole sono diventate più stringenti, per fabbricarli occorrono troppe certificazioni e ci sono davvero tanti cavilli. Quindi li prendiamo belli e fatti e li rivendiamo. Mai al dettaglio però. Certi fuochi – specificano – non li può sparare chiunque. Siamo noi che in ogni caso ci occupiamo di fare lo spettacolo pirotecnico».

Con la polvere da sparo, d’altronde, non si scherza. «Cautela e precisione – dice il maestro Golluscio – sono gli ingredienti base ancor prima dello zolfo e del potassio». Ed è stata proprio la loro serietà, passione e dedizione che li ha resi un’istituzione in questo settore. E non solo a Rossano.

Valentina Beli
Autore: Valentina Beli

“Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare” diceva con ironia Luigi Barzini. E in effetti aveva ragione. Per chi fa questo mestiere il giornalismo non è un lavoro: è un’esigenza, una passione. Giornalista professionista dal 2011, ho avuto l’opportunità di scrivere per diversi quotidiani e di misurarmi con uno strumento affascinante come la radio. Ora si è presentata l’occasione di raccontare le cronache e le storie di un territorio che da qualche anno mi ha accolta facendomi sentire come a casa. Ed io sono entusiasta di poterlo fare