La storia calcistica di Corigliano e Rossano è stata anestetizzata. Serve un elettroshock per rilanciare sogni e passioni
Uno degli errori più grandi commessi nel processo di fusione è stato quello di ghettizzare i “campanilismi” calcistici che, invece, potrebbero produrre quella sana competizione, innescando un processo virtuoso
CORIGLIANO-ROSSANO – C'era un tempo in cui la passione per il pallone in città aveva un perché, aveva suoni e colori, gioie e dolori, campioni da esaltare e schiappe da fischiare. C'erano le tifoserie, tra le più calde della Calabria, a dare manforte alla maglia, quella sì di matrice identitaria. C'erano i nostrani commentatori della quinta colonna con le loro analisi severissime. C'era un tempo in cui talenti del calcio si trasferivano con le loro famiglie in questa terra perché qui avevano accarezzato il sogno di poter vivere la loro passione come professione. C'erano una volta sulle due sponde del Cino, il Corigliano calcio da un lato e la Rossanese dall'altra, cugine ribelli e rivali.
C'era una volta... e adesso non c'è più. La storia calcistica di Corigliano e Rossano è stata anestetizzata. Ci sono solo quattro piccole squadre da oratorio in una città di 80mila abitanti con una tradizione calcistica ultrasecolare.
Tra queste spicca solo quel che resta della gloriosa Rossanese: una società giovane e molto professionale, una squadra di bravissimi ragazzi tutti made in Rossano, che però veleggia alle dimensioni del dilettantismo regionale, in un dignitosissimo campionato di Promozione senza soluzioni di continuità. Poi ci sono i Rengers e l'Atletico a Corigliano, in Prima Categoria gli uni e in Seconda Categoria gli altri e infine il Rossano scalo in Terza categoria. Poca roba. Davvero pochissima roba per un'unica città, oggi, che fino a dieci anni fa, ha portato il blasone dei colori biancocelesti ausonici e quelli rossoblu bizantini sui palcoscenici del calcio semiprofessionistico di mezza Italia con una memoria viva che ancora regge, dalla Sicilia alla Campania per finire alla Basilicata e alla Puglia.
Che nostalgia del pubblico del Tonino Sosto e del Brillia, che pugno al cuore non vedere più le bolge del Maria De Rosis e dello Stefano Rizzo. Ora gli stadi cittadini si “riempiono” di pochi affezionati con il rischio che si perda anche il cambio generazionale e che quello che un tempo era lo sport dominante nei cuori, nelle teste e nelle case di rossanesi e coriglianesi si perda per sempre. Era così forte questa passione, era così autentica e originale, così fervidamente religiosa che per tantissimi era una ragione di vita. Fino a non molto tempo fa si viveva in funzione di quei 90 minuti della domenica dove in campo non scendeva solo una squadra ma c'erano orgoglio e identità. Che oggi non possono e non devono essere persi.
Cosa è successo nel frattempo? Qual è stato il black-out? Possibile che non esistano più imprenditori interessati ad investire nel business nel calcio in quelle due parti di città che economicamente, nonostante i venti di crisi, rimangono tra le più ricche della Calabria con un potenziale inimmaginabile se considerate insieme come Corigliano-Rossano.
Nessuno vuole la squadra unica. E su questo crediamo di mettere tutti d'accordo, fusionisti, scissionisti e persino gli apatici. Però, è possibile che non si riesca a fare quadrato per restituire ai “campanili” due squadre di calcio degne di questo nome che possano ambire lì dove nessuno, in passato, è mai riuscito ad osare?
Analizzando i fatti e le dinamiche sociali e politiche, c'è un dato che emerge in modo lapalissiano: le istituzioni cittadine sono sempre state lontane, lontanissime dalle dinamiche calcistiche nostrane. Già in passato, quando ancora esistevano le estinte città, c'erano sindaci che si facevano vanto di non conoscere nemmeno la forma del pallone. Oggi, invece, sappiamo che Stasi, oltre ad essere tifoso della Juventus è un giovane sindaco che non disdegna di scendere in campo per una partita a calcio quando gli impegni istituzionali glielo consentono. Eppure in quattro anni, per quanto ne sappiamo, al primo cittadino di Corigliano-Rossano non è mai balenata l'idea di far sedere attorno a un tavolo la classe imprenditoriale della città – che ribadiamo è tanta, produttiva e qualificata – per chiedere non solo un aiuto nella fase di gestione del Comune ma anche per ricreare quella necessaria amalgama attorno al mondo del pallone. L'economia produttiva di Corigliano-Rossano, lo ricordiamo ancora una volta, potrebbe sostenere insieme e senza alcun problema un campionato di Serie A. Ma qui nessuno pretende le stelle. Ma una dimensione calcistica giusta, dignitosa, opportuna, quella sì.
Forse è arrivato il momento di “sporcarsi le mani” anche nell'opera di rilancio delle società calcistiche locali. E farlo subito, già in vista della prossima stagione sportiva 2023/2024. Perché – e non è un convincimento vano – nutrire la passione dei propri cittadini con nuovi obiettivi, nuovi sogni, nuovo orgoglio servirebbe tantissimo anche nella pratica di costruzione di una nuova città unita che sa tenere insieme le sue identità in modo distinto. Il calcio, lo sport in generale, è uno dei grandi assenti del processo di fusione. E questo, probabilmente, è stato un male. Perché nella spinta campanilistica delle due tifoserie si è letto il contraltare all'unificazione amministrativa delle due città. Non è così. Perché la fame di calcio, se appagata, crea competizione e la competizione tra due entità che lavorano all'interno di uno stesso nucleo sociale non può che portare giovamento all'intero sistema cittadino. Di derby cittadini nel mondo del pallone ce ne sono tanti e quasi tutti si svolgono ad altissimi livelli, da sempre, da anni, in una eterna passione.
Serve un elettroshock per rilanciare sogni e passioni.