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La recrudescenza criminale nella Sibaritide, è tempo di avere il coraggio della denuncia

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“Cosa deve ancora accadere di più grave, perché lo Stato torni a riappropriarsi del territorio”. E’ l’interrogativo che ci poneva un caro amico l’altro giorno, all’indomani dell’ennesimo atto intimidatorio che ha colpito un professionista coriglianese, già colpito nel recente passato da mano criminale. Ma nei giorni successivi altri atti intimidatori si sono verificati e dei quali abbiamo dato, noi dell’Eco, puntualmente le informazioni dovute. Prendendo in prestito le parole di un caro collega : “Da mesi la “Sibaritide brucia” come Sagunto, mentre a Roma… neanche si discute: incendi di auto e aziende, rapine, sparatorie, omicidi e risse violentissime e brutali alla luce del sole.” Il collega ha ragione, anzi noi aggiungiamo che è da anni che la nostra piana “brucia” ed è in balia delle organizzazioni criminali più svariate. Nella Sibaritide tutto il “ventaglio” delle attività criminali possibili da porre in essere è attuato. Eppure sono trascorsi circa quarant’anni da quando il boss salernitano Peppe Cirillo avviò qui nella piana floride attività criminali. In questo lasso di tempo, abbastanza importante, la criminalità si è impossessata del territorio. Nonostante le varie inchieste condotte e concluse con centinaia di arresti, nonostante le quotidiane attività investigative e di controllo portate avanti da tutte le forze dell’ordine, che vanno ringraziate per lo spirito di abnegazione e la professionalità messa in campo, ebbene tutto ciò non è bastato. In questo territorio, certamente ricco, da qui gli appetiti criminali delle varie organizzazioni criminose, nel corso del tempo hanno tratto vantaggi tutte le più grandi organizzazioni del malaffare. Dalla mafia siciliana, alla Sacra Corona unita pugliese, alla Camorra napoletana, tutto, ovviamente sotto l’egida dell’organizzazione principale: la ndrangheta. Qui nella Sibaritide hanno “lavorato” senza alcun problema esponenti della mala albanese, bulgara, rumena, russa. Stringendo patti con la ndrangheta hanno potuto portare avanti attività floride, quali la prostituzione ed il traffico di sostanze stupefacenti. Ancora oggi queste organizzazioni sono presenti e dicono la loro su vari traffici illeciti. La ndrangheta lascia fare, perché costoro devono pagare “pedaggi” alquanto salati, altrimenti devono andare via. Alla “rete” locale del malaffare viene data la supervisione del malaffare, ogni territorio ha i propri referenti, che, per quanto riguarda la Sibaritide, devono dare conto a Cirò. La crisi economica che sta mordendo tutta l’Italia, certamente non poteva risparmiare la piana di Sibari, da qui la necessità da parte dell’organizzazioni criminali di poter fare cassa in tutti i modi. Ecco perché il “ventaglio” delle attività criminose si è ampliato, ma quello che maggiormente preoccupa è la determinazione che gli adepti del malaffare pongono in essere nel momento in cui devono portare a termine l’attività delinquenziale. Indubbiamente le parole pronunciate circa un anno fa, da parte del procuratore antimafia, Nicola Gratteri ci confortano: «Col nostro lavoro ci interesseremo anche di questi territori, quindi non vi sentiate assolutamente abbandonati. Una recrudescenza del fenomeno mafioso nella Sibaritide? Non è così. Il fenomeno mafioso c’era, c’è e con queste regole ci sarà. C’è un aumento di azioni violente che fanno ricordare che c’è la criminalità. Ma la criminalità c’era anche prima che ci fossero omicidi o danneggiamenti – ha affermato ancora il procuratore di Catanzaro –. Però questo non vuol dire che la situazione sia fuori controllo o che ci sia da disperarsi. In genere, dal punto di vista investigativo quando ci sono delle azioni criminose o violente è più facile, o meno difficile, capire e trovare il filo d’Arianna. Perché quando le acque sono stagnanti, cioè quando le mafie vendono cocaina e acquistano immobili, voi siete convinti che è tutto apposto, che sul territorio non ci sono problemi e che si vive bene. Nella realtà è esattamente il contrario. Quindi non sarei così pessimista o preoccupato. Ci sono i fenomeni, come ci sono in tantissime aree e parti d’Italia ma non c’è un qualcosa di irrisolvibile nella Sibaritide». Quanto sta accadendo qui nella Sibaritide, indubbiamente, aldilà delle parole del procuratore Gratteri, è una deriva pericolosa non ascrivibile soltanto ai problemi di uomini e mezzi  delle forze dell’ordine che fanno l’impossibile su un territorio fin troppo vasto, ma anche alla mancata reazione sociale delle istituzioni locali. Con i semplici appelli a mezzo stampa al potenziamento dei presidi di legalità il problema non si risolve (soprattutto se seguiti da selfie o post social di questo o quell’esponente politico sorridente impegnato in qualche convegno o iniziativa pubblica). E come si risolve? Iniziando a denunciare, magari, le richieste estorsive che arrivano puntuali come raccomandate con ricevuta di ritorno, organizzando manifestazioni e cortei nei luoghi di sparatorie e incendi, contattando immediatamente Polizia e Arma appena si assiste a un’aggressione (invece di tergiversare con il cellulare) e ripensando completamente il sistema delle relazioni sociali sul territorio trovando il coraggio, magari, di dare seguito alla protesta intra e interistituzionale se una delle forze chiamate a contrastare le illegalità diffuse non riesce a incidere per mancanza di uomini e mezzi (che è il lamento che si leva da tempo dalla Sibaritide). Mettere in atto, cioè, azioni anche eclatanti in continuità con quanto in certi casi si faceva prima di entrare nelle istituzioni. Sarebbe un esempio da seguire, la miccia capace di riaggregare le forze migliori della società attorno a un obiettivo comune e condiviso: ridimensionare violenti e criminali che oggi imperversano terrorizzando le sere e le notti di una parte di territorio dalle potenzialità economiche e produttive superiori a molte altre, ma risucchiato in una spirale di violenza da fermare subito, prima che l’indifferenza dei buoni divenga un male incurabile.

Giacinto De Pasquale
Autore: Giacinto De Pasquale

Classe 1958, ha profondo rispetto per il lettore, da qui il motto “prima la notizia e poi il resto”. Giornalista dal 2002. È dal lontano 1976 che inizia a scrivere sul “Giornale di Calabria” di Pietro Ardenti. Inizialmente si occupa solo di cronache sportive. Sempre dal 1976 con “Radio Libera Corigliano” e poi con varie emittenti quali TLC, Video Erre e TeleA1 Corigliano. Nel corso degli anni si occupa anche di cronaca nera, politica e culturale. Ha collaborato con Gazzetta dello Sport, Gazzetta del Sud e Il Quotidiano della Calabria. È direttore della prestigiosa rivista culturale “Il Serratore” e gestisce il blog ilcoriglianese.it. Nel 2014 è nella redazione fondante de “L’Eco dello Jonio”. Oggi ritorna con l’entusiasmo di chi sa che fare informazione in questa nostra terra di Calabria è difficile, ma grazie all’Eco dello Jonio tornerà a raccontare in maniera sincera quello che accade, per contribuire alla crescita sociale e culturale di questo nostro fantastico territorio