L’Enel e gli anni del boom economico di Rossano: senza quella centrale il territorio ha perso benessere
Un salto indietro nella storia di 50 anni, quando sulle rive bizantine arrivò il colosso energetico: portò i primi contratti regolari, dignità al lavoro, prosperità nel ceto medio. Un’iniezione di modernità in un micromondo dalla mentalità feudale
CORIGLIANO-ROSSANO - Da oltre cinquanta anni Rossano e la Sibaritide convivono con una presenza “ingombrante” che, nel bene e nel male, ha condizionato la vita dei cittadini.
Gli anni ’70 del secolo scorso erano agli albori e Rossano era governata da un Commissario Prefettizio, il dottor Cerminara. All’improvviso in città si parlava di un investimento importante da parte dell’Enel, si doveva costruire una Centrale di produzione di energia elettrica che avrebbe dato lavoro a centinaia di persone.
Si dice che l’impianto fosse stato proposto prima alla vicina Corigliano per via del costruendo porto, che lo rifiutò e che fu poi proposto a Rossano, spostandolo di poche centinaia di metri, al di qua del Cino. Non si sa se questo corrisponde al vero, ma la voce girava. Corigliano si “vendicò” dello sgarbo negando successivamente l’autorizzazione all’oleodotto dal porto fino in centrale.
L’Amministrazione dell’epoca, oltre ai benefit economici che permisero una urbanizzazione degna di una grande città, pretese anche che i camini fossero costruiti altissimi per evitare che il fumo andasse a creare disturbi sul centro storico, nonostante le assicurazioni dell’ente elettrico sullo studio dei fumi che andavano in altre direzioni.
Il terreno idoneo fu trovato in Contrada Cutura; apparteneva alla famiglia Amantea che si oppose strenuamente all’esproprio, ma senza successo. Si dice che gli Amantea abbiano sempre rifiutato di ricevere le somme dovute per l’esproprio stesso e che l’Enel sia stata costretta a riversare il tutto presso la Cassa Depositi e Prestiti. Non si sa se poi la questione abbia avuto un prosieguo diverso.
Cominciavano ad arrivare le prime grandi ditte: Provera e Carrassi, Belleli, Ansaldo erano diventate all’improvviso come la panacea al lavoro nei campi. Va ricordato che fino all’avvento di queste ditte, i lavoratori locali non avevano mai sentito parlare di contratti di lavoro, di buste paga regolari, orario di lavoro, assicurazione e tutto il resto.
A Rossano, oltre ai dipendenti pubblici, gli insegnanti e le forze dell’ordine, forse la sola Azienda Amarelli, riconosceva questi diritti ai propri dipendenti.
Chi riusciva a farsi assumere da una ditta interna al cantiere Enel si assicurava tutti questi benefici, fino ad allora sconosciuti ai più. Centinaia di stipendi cominciavano a circolare in città con tutto quello che ne conseguiva a livello di economia.
Case, strade, negozi, artigiani, era tutto un fiorire di benessere.
Giusto a livello di esempio, va ricordato che a Rossano non esisteva una ditta di pulizie, nata in quegli anni su suggerimento di un funzionario Enel ed il primo supermercato, la Standa, nasceva nel 1980 ed i proprietari chiamarono a gestirlo un parente di Catanzaro.
Certo non è stato tutto rose e fiori. La cultura locale non era forse ancora pronta a lavori di questo tipo e qualcuno ne approfittava. Dopo l’assunzione i certificati medici fioccavano e le aziende si trovavano spesso in difficoltà, al punto che - finiti i lavori appaltati - andavano via dicendo di non voler più tornare da queste parti.
Solo una grande azienda, colpita dalla bellezza del posto, ha voluto investire in maniera determinante in questo territorio costruendo il complesso turistico dei laghi di Sibari.
Tanti nuovi contratti di lavoro, tante assunzioni: l’Enel è andata a pescare tra i giovani diplomati dell’Istituto Tecnico Industriale locale, per quanto riguarda i tecnici; tra i giovani senza titolo di studio specifico, per quanto riguarda gli operai.
Curioso il caso del primo concorso pubblico indetto da Enel per l’assunzione di otto operai. Fecero domanda solamente in cinque. Furono assunti tutti. Successivamente fu bandito un ulteriore concorso per i tre posti restanti e le domande furono oltre un centinaio. La graduatoria di questo secondo concorso restò aperta e poi furono assunti oltre quaranta operai.
C’è da sottolineare che tecnici ed operai, dopo corsi specifici di formazione presso altre centrali, ebbero l’opportunità di crescere professionalmente al punto di diventare specializzati, capi reparto e responsabili di altre centrali, anche all’estero.
Purtroppo di tutto quello che si paventava nel periodo di costruzione, non si realizzò nulla. Si progettava di costruire un impianto di itticoltura, un impianto produttivo di fiori, di far arrivare l’acqua calda di raffreddamento nelle case per il riscaldamento gratuito e così via. Tutti progetti lanciati ed abbandonati.
Gli unici ad essere soddisfatti erano quei pochi pescatori dilettanti che da riva lanciavano le proprie canne per prendere prede di livello che si avvicinavano nelle calde acque reflue immesse in mare.
Tutto quello che doveva essere costruito attorno alla centrale restava un miraggio ed anche i corsi di formazione dei lavoratori fuorusciti dalle ditte della costruzione si rivelavano privi di obiettivi.
La Centrale è stata autorizzata con decreto interministeriale n. 174 del 1971 e ha iniziato a produrre energia elettrica nel 1976, con la graduale entrata in servizio di quattro sezioni termoelettriche a vapore, l'ultima delle quali è stata attivata nel maggio del 1977.
Dopo oltre venticinque anni di attività, nei quali l’impianto rossanese risultava spesso il più produttivo ed il più sicuro, grazie a dirigenti avveduti ed organizzazioni sindacali attente, l’azienda elettrica incrementò la produzione aggiungendo quattro gruppi a gas da cento megawatt ai quattro gruppi esistenti da trecentoventi. In sostanza, buona parte del Paese era alimentata dalla Centrale di Rossano. Ancora una decina d’anni e si avvicinava la dismissione totale e definitiva dell’impianto.
Si cominciava a proporre la riconversione a carbone, ma inizialmente il progetto trovava l’opposizione degli enti locali e successivamente la stessa azienda cambiando strategia, rinnegò il carbone per una scelta cosiddetta verde.
Negli ultimi anni di vita produttiva non si eseguivano più le manutenzioni programmate e si lasciava che l’impianto si deteriorasse sempre di più. Restavano attivi solo i gruppi da cento megawatt a gas che servivano solo a garantire un’eventuale carenza sulla rete nazionale e che erano gestite solo da pochissime persone.
Anche al termine della vita produttiva della Centrale si fecero dei progetti che avrebbero dovuto garantire un minimo di occupazione locale. Enel lanciò il progetto Futur-E che dopo svariati incontri col Sindacato e con le Amministrazioni locali, si rivelò un bluff.
Nulla di quanto promesso e paventato si è realizzato.
Al momento lavorano in centrale solo una cinquantina di persone, di cui cinque o sei dirette e le altre impiegate nei lavori di dismissione.
Si dice che entro il prossimo anno 2023 saranno abbattute le ciminiere e tutto il resto, serbatoi compresi. Si spera che almeno questo si realizzi, ma se qualcuno pensa che il sito possa ritornare all’aspetto originario si sbaglia di grosso.
Migliaia di tonnellate di cemento armato non si spostano facilmente e non pare che l’Enel abbia interesse a fare qualcosa ormai per questo territorio anzi, ad una battuta dell’amministrazione a concedere gli spazi al fine di collegare il lungomare di Schiavonea con quello di Rossano, sembra che gli interlocutori aziendali abbiano risposto picche.
Resta l’amarezza di aver ospitato una Centrale elettrica per oltre cinquanta anni ed alla fine il territorio resterà con le mosche in mano.