La transizione verde sarà un trauma generazionale: zero cultura del trasporto pubblico e della pedonalizzazione
Corigliano-Rossano è l’unica delle grandi città calabresi ad aver accantonato (almeno per il momento) l’idea dei centri commerciali all’aperto e che continua a mantenere l’usanza dell’auto fin dento ai negozi. Che fine ha fatto la “social steet”?
CORIGLIANO-ROSSANO – Energia pulita, abbattimento delle emissioni, stili di vita più salutari. Sono i principali cardini di quella che viene definita politicamente "transizione verde" ma che, altro non è, un riscoprire il rispetto verso il mondo che ci circonda. E quindi se da un lato il cosiddetto green deal dovrebbe essere innanzitutto un dovere civico oltre che un modello umano e sociale di vita, entro il 2050 sarà anche l’obiettivo cardine che dovranno raggiungere gli Stati europei. Insomma, una "costrizione" a diventare più puliti e rispettosi dell’ecosistema.
Sarà un percorso difficilissimo, arduo, impervio e – per alcuni versi – anche impossibile. Soprattutto alle latitudini della Calabria del nord-est dove manca nelle radici sociali una cultura green. Colpa sicuramente di un progresso lento che qui è sempre arrivato in ritardo ma anche di politiche di governo del territorio elefantiache che hanno sempre prodotto risultati vecchi e desueti. Un esempio su tutti potrebbe essere il Piano strutturale associato la cui elaborazione risale a più di dieci anni fa, ormai, e che quando sarà adottato (semmai sarà adottato) si ritroverà ad essere già uno strumento urbanistico vecchio e datato. E così anche per tante altre cose della Calabria del nord-est.
Insomma, manca una cultura della civiltà “postmoderna” quella che riesce a fare la differenziata ormai in modo naturale e spontaneo, che per muoversi in ambito urbano preferisce i mezzi pubblici, che non innaffia le piante con l’acqua sanitaria e che predilige gli spazi urbani rispetto al chiuso delle autovetture.
Corigliano-Rossano è emblema e maestra, purtroppo, di questa cultura arretrata e questo, nonostante in questa città e nel suo territorio si produca la maggior parte del Pil della provincia di Cosenza e, di riflesso, della Calabria. Il capoluogo jonico è un po’ come la Mestre degli anni ’70, dove si estendevano grandi quartieri popolari di lavoratori ma la vera vita ed i servizi erano fuori. In quel caso Venezia, nel nostro – invece - Cosenza o altre città dell’hinterland meridionale.
Zero cultura del trasporto pubblico e della pedonalizzazione
Cosa manca? Certamente non esiste, almeno per il momento, un’impostazione di città, pronta ad accogliere le sfide del modello europeo o, ancor prima, di quello italiano. Ci sono due esempi su tutti che sono lapalissiani rispetto a questo stato di cose: la mancanza di una cultura del trasporto pubblico e, di riflesso, l’assenza totale di un metodo per vivere l’assetto urbano. Qualcuno sostiene – a ragion veduta - che da qualche decennio a questa parte, quest’area della Calabria sia diventata un dormitorio. E basta chiederlo ai giovani d’oggi (ma anche a quelli di ieri) che non vedono l’ora di compiere 18 anni, di acquisire la maturità per andare via lontano e approdare in una città, forse anche più piccola di Corigliano-Rossano ma piena, stracolma di servizi. E questo non solo per esigenze di studio o di lavoro ma anche per iniziare a vivere la vita al pari dei loro coetanei.
Sia chiaro, la rete dei servizi e delle opportunità – e lo dicono anche i recenti rapporti Svimez e Istat – continua ad incidere pesantemente sulla qualità della vita dei cittadini.
Corigliano-Rossano, non ha – ad esempio – nemmeno un quartiere pedonale, su entrambe le aree urbane, dove si possa incentivare la socialità, che possa fungere da attrattore per le grandi catene commerciali, dove semplicemente si possa passeggiare all’aperto, in sicurezza, durante tutti i giorni dell’anno. L’esempio più vicino e prossimo è corso Mazzini, a Cosenza. Dove il concetto di vivibilità urbana è stato rivoluzionato in pochi anni nonostante una struttura viaria compromessa. Si pensi a qualche decennio fa quando la via principale bruzia era totalmente aperta al traffico veicolare e da li transitava la maggior parte della mobilità urbana. Sono stati creati percorsi di “sfogo” per il traffico e corso Mazzini è diventata una grande area pedonale che con il tempo si è trasformata in una grande area commerciale all’aperto. Ma si pensi anche a Matera, a Salerno, alla stessa Crotone.
E questo non ha fatto altro che foraggiare l’abitudine di arrivare davanti ad un negozio (possibilmente anche dentro se ci fosse la possibilità) con la propria autovettura. A proposito, qualche mese fa, avevamo registrato una posizione molto interessante dell’Amministrazione comunale che aveva individuato nei due centri urbani di Corigliano e Rossano delle aree da trasformare in “social street” o più comunemente in zone pedonali permanenti il cui accesso – al pari di tutte le città – è riservato solo ai pedoni. Che fine abbia fatto questo ambizioso progetto, a distanza di più di un un anno e mezzo dal suo annuncio, nessuno lo sa.
La mancanza di pedonalità e quindi di una vera cultura del vivere gli spazi sociali nasce, da fatto, da un’altra grande “disabitudine”, quella alla cultura del trasporto pubblico. Se qualcuno vuole studiare quanto di arcaico è rimasto in Italia nella concezione della mobilità urbana basta che si piazzi nei pressi di una delle aree di fermata degli autobus di linea cittadini (le pensiline non esistono più!). La tabella degli orari è puntuale ma solo indicativa (il bus passa attorno alle…), i biglietti sono per singola corsa e si possono acquistare solo a bordo del mezzo, le corse sono limitate e perlopiù fanno la spola tra lo scalo, i centri storici e le contrade, non esiste una circolare. Un metodo ancestrale, a voler essere buoni! Al quale, però, pare che, anche in questo caso, l’Amministrazione comunale a guida Stasi abbia posto una nuova prospettiva approvando un piano di trasporto urbano la cui attuazione sembra essere ancora lontana dal divenire.
Insomma, tutto sommato, da qui al 2050 rimangono ancora 28 anni. Lo spazio di una generazione. Che ancora non sa cosa sia vivere in modo green ma soprattutto vive in un luogo culturalmente lontano anni luce dal modello di città moderna e sostenibile. Ecco perché la transizione verde sarà un trauma generazionale.