Con il Covid ed un femore rotto: per lui non ci sono posti in reparto. La disavventura di un 90enne
Rimane "parcheggiato" in Pronto soccorso da ormai quattro giorni in attesa di una stabilizzazione che non c'è. Ecco come rischiano di morire i nostri anziani grazie anche a protocolli sanitari cervellotici. Straface: «Servono nuove procedure»
CORIGLIANO-ROSSANO - Quanto sia delicata la rottura di un femore in un anziano è un dato di fatto che conoscono anche i meno avvezzi alle pratiche sanitarie. Ma la pandemia da Covid-19 ci ha insegnato, purtroppo, che con il virus in circolazione tutte le altre emergenze possono andare in deroga. Ed è così che rischiamo di continuare a perdere, come se fossero birilli in caduta libera, la popolazione anziana, con danni ancora maggiori di quanti ne abbia già fatti la Sars-Cov-2 in questi due anni.
A proposito, vi raccontiamo un altro caso emblematico che in queste ore si sta consumando nel Pronto soccorso "Giannettasio" di Corigliano-Rossano. Un anziano signore, di 90 anni, è "parcheggiato" nelle corsie del reparto di primo intervento da ormai 4 giorni. È arrivato in ospedale il 29 aprile scorso con la rottura di un femore. Espletato il triage viene fuori che l'uomo, oltre ad avere il delicatissimo trauma osseo ha pure il Covid. Completamente asintomatico.
A quel punto scatta il "ghetto". Perché di questo si tratta per tutti coloro che, oggi, si trovano a dover fare i conti con il virus. Il 90enne viene isolato e stabilizzato in una stanza del Pronto soccorso. Parte così la ricerca di un letto. Il paziente, infatti, secondo i vigenti protocolli sanitari, dovrebbe essere ricoverato in un reparto Covid - in una pneumologia per intenderci - nonostante sia completamente privo di sintomi respiratori ma con una gamba spezzata che gli provoca dolori immensi e, ovviamente, pericolo di vita.
Nel reparto Covid-19 dello spoke non ci sono più posti, dal momento che dai 32 posti alla massima operatività si è passati agli attuali 10, tutti saturi. Stessa sorte per tutti gli altri "presidi speciali" dell'Asp di Cosenza.
Insomma, non c'è un letto per questo nonno adagiato su un letto in Pronto soccorso e che andrebbe subito operato. «Qui ormai - ci dice sconfortato il direttore dell'unità operativa di Ps dello spoke di Co-Ro, Natale Straface - la maggior parte del nostro tempo lo trascorriamo a cercare posti di qua e di là nei diversi presidi ospedalieri della Calabria» (leggi qui il nostro report sulla pressione dei pronto soccorso nell'Asp di Cosenza).
Intanto il signore è ancora lì su quel letto a contorcersi per i dolori. E non è il solo «Da due giorni - aggiunge Straface - ho qui un paziente cardiopatico, anche lui positivo al Covid, che andrebbe ricoverato ma i protocolli ci mettono in difficoltà».
Ritornando all'anziano con il femore rotto, si starebbero cercando anche delle soluzioni differenti (come l'isolamento in reparto specialistico, no Covid) per far fronte all'esigenza di questa povera persona. «Pare, però - aggiunge Straface - che non ci sia un posto libero in nessun reparto ortopedico della provincia. Quello del nostro ospedale è saturo». Ad ogni modo, traferire in un altro presidio della provincia una persona di 90 anni dolorante sarebbe un'ulteriore tortura.
Nel frattempo, il pronto soccorso continua a riempirsi di persone che arrivano per curare altre patologie e che "alla resa dei conti" si trovano, loro malgrado, positive al Covid. E per loro non c'è altra soluzione che l'attesa, la quale alle volte può durare anche settimane. «Che senso ha - lamenta Straface - ricoverare in un reparto di pneumologia una persona che arriva qui da noi con altre sintomatologie che con l'apparato respiratorio non c'entrano nulla? Che cure specifiche può dare uno pneumologo ad un paziente traumatizzato che andrebbe ricoverato e trattato in un'ortopedia? Servono altre procedure, occorrono altri protocolli per far fronte a questa nuova fase del Covid». Che è diffusissimo ma sempre più silente.
Per non parlare poi delle stranezze sanitarie, come quelle che avvengono negli ospedali di Corigliano-Rossano, dove sono state realizzate strutture destinate al confinamento dei malati positivi che, però, stranamente e inspiegabilmente rimangono chiuse (leggi qui). Situazioni paradossali, insomma, che non fanno che aggravare la già precaria condizione della sanità nella Calabria del nord-est.