Trebisacce festeggia 50 anni di scoutismo: in cammino sulla buona strada - FOTO
Grande festa nella cittadina ionica per celebrare i 50 anni di scoutismo. Il Vescovo Savino «Si è Scout nel privato e nel pubblico»
TREBISACCE – 50 anni fa a Trebisacce, grazie alla ferrea volontà di pochi visionari, è stato immaginato un sogno, che poi è diventato realtà, quindi storia e, oggi, una leggenda.
Questo racconto, lungo tante pagine quanti sono i giorni che compongono 10 lustri di vita, ha avuto infiniti protagonisti. Tutti loro, chi fisicamente, chi spiritualmente, che nel ricordo, si sono riuniti ieri, presso la Parrocchia Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria per festeggiare un compleanno che segna un’epoca, che unisce cuori, menti, anime, intenti, ricordi, prospettive, esperienze, passioni, foto sbiadite, sguardi, qualche lacrima, grandi vittorie, qualche sconfitta, che nella vita ci sono anche quelle, e tanto, tanto, tanto amore.
Ieri, la comunità di Trebisacce si è riunita per celebrare i 50 anni di scoutismo a Trebisacce… ed è stata festa grande. C’era Suor Assunta Lucatelli, in prima fila, granitica nel suo dire e del suo fare, che tra le prime immaginò di dare una casa al tempo dei ragazzi di Trebisacce, che cinquant’anni fa cercavano un falò sociale, intorno a cui fare cerchio, intorno a cui unirsi.
C’era don Vincenzo Calvosa assistente religioso e membro della famiglia degli Scout di Trebisacce, che a tutti i ragazzi con la camicia blu ha ridato un luogo da poter chiamare casa propria.
C’era Vincenzo Romano, Akela per i suoi lupacchiotti, che se invece di un capo scout infinitamente innamorato dei suoi ragazzi che ha visto diventare uomini e donne, formandoli con dedizione, fosse stato un biscotto sarebbe stato un Crisbì, duro fuori, dolcissimo e tenero dentro.
C’era il Vescovo della Diocesi, Don Francesco Savino, che, nel suo abbraccio di parole scoppiettanti di sincerità e prospettiva, ha lanciato al gruppo scout di Trebisacce due sfide: stare vicino al mondo della Chiesa, intensa come unione degli uomini e del loro spirito, e farsi carico del più importante degli insegnamenti che il fondatore degli scouts, Sir Robert Baden Powell ha trasmesso: rendete il mondo un posto migliore di come l’avete trovato.
C’era la comunità dei capi scouts, c’erano coloro che indossano oggi i pantaloni corti e coloro che l’hanno indossati un tempo (Perché chi è scout una volta nella vita, è e resta scout per sempre), c’erano le famiglie, c’era il ricordo per chi è stato e che oggi non è più.
Ma c’era, più di ogni altra cosa, una sensazione che va oltre la fratellanza, l’unione, l’affetto. C’era, nell’aria, negli occhi e negli sguardi offuscati da lacrime d’emozione, nelle mani che si tornavano a stringere, nelle pacche sulla schiena, nei riti, nelle preghiere, nei canti, nel suono delle chitarre, nelle promesse scambiate, in tutto ciò c’era la consapevolezza di una condivisione di intenti, di una capacità di volgere lo sguardo verso la medesima direzione, contemporaneamente, senza bisogno di coordinarsi perché tutti, in quel momento sapevano qual è la via, qual è la direzione, qual la strada… la buona strada. E il desiderio, non detto ma non per questo celato, che diventa naturalmente condiviso, è di percorrerla insieme quella strada, ognuno al suo passo, per altri 50 anni, e più. Perché infondo, una realtà così meravigliosa come lo scoutismo a Trebisacce lo puoi raccontare paragonandolo a due concetti: una certezza, come l’alba. E una costante, come il respiro. Per aspera, ad astra.