L'inutile chiusura: arriva la conferma che la scuola non aumenta i contagi
Una ricerca portata avanti dall'Università di Bologna e riportata dal Corriere della Sera smentisce le scelte delle ultime settimane sulla sospensione delle attività didattiche
CORIGLIANO-ROSSANO - C’è un dubbio che sta attanagliando le famiglie italiane: si tornerà, o meno, alle lezioni in presenza dal prossimo 7 gennaio? Se ancora non vi è una risposta certa, colpa anche della mancanza di una visione univoca e dagli infiniti ping pong tra Governo ed enti amministrativi locali, a venire in soccorso a chi brancola nel buio ci ha pensato un accurato studio dell’Università di Bologna, pubblicato sulle colonne del Corriere della Sera.
La domanda - che tutti si fanno - è se la riapertura della scuole ha contribuito alla diffusione del Covid-19. Il giornale milanese ritiene che, dopo gli sforzi della scorsa estate del ministero, dei dirigenti e del personale scolastico, la scuola non è più rischiosa rispetto ad altri ambienti che sono tutt’ora attivi. Il grande dubbio riguarderebbe il contorno di contatti e la mobilità.
«Escludendo gli universitari – scrive il Corriere della Sera - gli alunni di tutte le scuole pubbliche (dagli asili alle superiori) sono poco meno di 7,8 milioni, quasi il 13% della popolazione italiana. Dunque una massa di persone (più l’indotto) potenzialmente capace di creare effetti molto importanti sulla diffusione virale. Ma se guardiamo ai numeri, nulla di tutto questo sembra emergere. La “prova”, per quanto grossolana, viene da un semplice confronto».
Il confronto viene fuori dall’incidenza degli studenti sulla popolazione delle varie regioni, prendendo la quota dei positivi al Coronavirus del periodo di metà settembre-metà novembre: «Dove più studenti ritornano a scuola si dovrebbero vedere, nell’arco di qualche settimana, più contagiati a casa o in ospedale. Quello che si vede è tutt’altro. La relazione tra queste due grandezze è molto debole e semmai contraria rispetto a quella immaginata: con l’eccezione della Valle d’Aosta, quota di studenti e diffusione virale tendono a essere correlate negativamente».
Insomma, secondo i numeri accertati, i dati sembrano dirci che non è nella scuola il driver della seconda ondata. La domanda sorge spontanea, allora perché continuare ad incaponirsi su una scelta di chiusura che metterebbe sul lastrico il futuro didattico di intere generazioni?