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Di un morbo antico e misterioso

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Bologna, 1506. Un uomo di circa quarant’anni, piccolo, magro e dal sorriso arguto, s’aggira curioso per le vie d’una città che non conosce. Per un accenno di peste, una precisa area urbana è stata destinata ai malati, ai convalescenti, ai medici. Il piccolo magro e sorridente uomo veste il nero abito degli agostiniani. Nativo d’Olanda, si sente cosmopolita, perché cristiano e quindi pellegrino in questo mondo, e perché le baruffe di sacrestia di campanile di nazione gli paion perniciose e sciocche. Era stato a Parigi, ed era stato in Inghilterra, dove, fra i tanti e cari amici, John Colet, austero dotto intenso predicatore, aveva lasciato indelebile segno sulla sua anima ansiosa di chiarezza, di verità, di pace. Altra cara amicizia del soggiorno oltremanica fu quella con Thomas More, futuro cancelliere e martire, né è da tacersi quella, benché meno intensa, con Polidoro Virgili, urbinate divenuto inglese. Mi piace immaginare che girellando per Bologna il nostro uomo meditasse su una delle questioni che aveva più a cuore, e cioè quella della retta pronuncia del latino e del greco, quand’ecco che un’impaurita e iraconda masnada lo circonda e minaccia. Non sa una parola di italiano. Si salva a stento. Lo avevan preso per un medico degli appestati che avesse varcato l’area ad essi destinata. Quell’uomo era Erasmo da Rotterdam.  

         Lasciamo Erasmo, la pesticciola felsìnea (non è essa il morbo di cui vado a dire), l’equivoco risolto fortunosamente, l’amicizia con Colet con More con Virgili, l’esatta pronuncia delle lingue classiche, e trasvoliamo la Manica saltando il tempo all’indietro per portarci nei giorni della battaglia di Bosworth Field che vide il deforme e malvagio Riccardo III perdere regno e vita invocando qualcuno che gli desse un cavallo. Di Riccardo sconfitto e ucciso, il primo a dire che fosse deforme malvagio e pessimo sovrano fu quello stesso John Rous che, quand’era vivo e regnante, aveva scritto ch’era leggiadro buono e saggio. Polidoro Virgili e Thomas More fisseranno pei posteri l’immagine di un Riccardo abietto, e Shakespeare leverà al cielo dell’arte l’inferno di quell’abiezione.

         Ebbene, fu proprio nei giorni in cui si combatteva a Bosworth Field (Agosto 1485) che si prese a parlare d’una bizzarra malattia. Iniziava con brividi di freddo, dolori, spossatezza. Mutava dopo poche ore in calore insoffribile, tachicardia, sete, delirio, gravame al petto, copioso fetido sudore. Uccideva nel giro d’un giorno. Sdegnava i vecchi molto vecchi, non colpiva i bambini, prediligeva i ricchi. Thomas Le Forestier (Thomas Forrestier), medico francese dimorante a Londra, descrisse la cosa per primo. A fine Ottobre del 1485 il morbo, che aveva interessato la sola Inghilterra, scomparve. Tornerà a fare guasto, però. Nel Settembre del 1519 condusse a morte John Colet, il nominato ascetico predicatore amico di Erasmo. Nel 1528 l’influenza essudativa varcò il mare funestando ampie zone del Nordeuropa. Fu l’unica volta che lasciò il suolo inglese, sul quale ritornò nel 1551. Fu allora osservata e in qualche modo combattuta da Johannes Caius (John Kays). Uomo famoso, nell’Inghilterra di quei giorni e dei giorni che verranno, pensava forse a lui William Shakespeare nel dare un volto e un nome al dottor Caius de Le allegre comari di Windsor? Aveva studiato e insegnato a Padova, John Kays. Vi insegnò lingua greca, e anch’egli s’occupò dell’esatta pronuncia della stessa e della latina. Seguace di Galeno, ne scoprì, e tradusse in latino, non pochi manoscritti. Accordare l’evidente al Canone, o gettar via quello o questo, fu ed è in ogni campo uno dei travagli della Ricerca. Nel campo medico, il Caius, pur eccellente osservatore, decisamente propendeva per il Canone. La Verità era in Galeno, e se l’esperienza la smentiva, era perché i testi del Maestro eran stati corrotti dall’insipienza dei copisti e dall’usura dei secoli – che è in qualche modo e solo in qualche modo nello spirito di Erasmo, il quale di Galeno stesso aveva curato l’edizione di un piccolo testo. All’influenza essudativa, di cui Galeno nulla aveva mai potuto dire, il Caius dedicò un trattato in latino e lo volse e stampò anche in inglese. Quella del 1551 fu l’ultima apparizione del morbo che, chiamato sudor anglicus ovvero sweatyng (sweating) sickness, vanì portando via con sé la causa del suo essere. Fu un arbovirus o un orthohantavirus a cagionarlo? Lo si ignora, lo ignoro, ne soffro. Non dispero, però. Piero e Alberto Angela hanno infatti una zia. Si chiama Scienza. È lei a sussurrare loro seimila verità all’anno, ed essi, piano piano, le distillano e offrono al popolo. Se posso ansimando sperare in un angelico documentario che prosciughi il mistero del sudor anglicus, dolgo che Dario Fo sia morto senza aver avuto notizia d’un morbo che inclinava a prendersela coi ricchi, e dolgo forse quasi più che Maurizio Costanzo mai l’abbia preso a spunto per la sua opera di moralizzazione. Erudite dagli Angela, riscattate da Dario, moralizzate da Maurizio: felice sempre il fato delle masse!

Ettore Marino
Autore: Ettore Marino

Lettore, se ne hai curiosità, sappi che Ettore Marino, arbërèsh di Vaccarizzo Albanese, è nato a Cosenza nel 1966; che ha collaborato e collabora con varie gazzette cartacee e digitali; che per Donzelli Editore è uscita, nel 2018, la sua "Storia del popolo albanese. Dalle origini ai giorni nostri"; che nel 2021 è diventata libro, per le Edizioni "ilfilorosso", una sua raccolta di liriche intitolata "Patibolo"; che nell’Aprile del 2022 ha pubblicato, per Rubbettino Editore, "Un quadrifoglio, verde tra le spine. Traduzioni da poeti italoalbanesi"; che ha scritto molte altre cose di cui va talora chiedendosi se resteranno sempre inedite; che è arcilieto di collaborare con L’Eco dello Jonio; che il Covid, di cui pure ha patito, non gli ha fatto dismettere l’uso del tabacco; che ignora quando e come morirà.