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ARIE E RECITATIVI - Bartali, il fato, i bulli

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Al chiudersi della stagione ciclistica 1937, il ventitreenne Gino Bartali ha vinto già, con varie altre corse di minor momento, due Campionati italiani, un Giro di Lombardia, due Giri d’Italia. Se il fato fosse stato meno scortese, e se alcuni assai potenti bulli non si fossero creduti i soli detentori e del Vero e dell’Utile, la corsa di maggior prestigio, e cioè il Tour de France, avrebbe fatto ancor più ricco il già suo ricco carniere.

          Il Tour de France era da sempre un massacro di tappe interminabili, di ascese prive d’aria, di nervi da eccitare con la cocaina e da chetare con il cloroformio. Al Tour del 1910, scalato ch’ebbe, e primo, il Tourmalet, Octave Lapize aveva urlato “Assassins!” agli organizzatori della corsa. Nel 1924 i fratelli Pélissier si ritirarono alla terza tappa, e Albert Londres, che ne raccolse gli sfoghi, diede alle stampe due scritti: Forçats de la route e Tour de France, tour de souffrance. Vi trovi moti d’ira arcaica e sanguigne eleganze degne di Léon Bloy, di Clémenceau, di Émile Zola. Una su tutte: “Giorno presto verrà in cui porranno piombo nelle nostre tasche, poiché credono che Dio abbia creato l’uomo troppo leggero”. Appena un po’ addolcito, il Tour è rimasto qual era. Bartali, che ha appena vinto il suo secondo Giro, vuole solo godersi la dolce spossatezza del trionfo, e al Tour non pensa affatto. C’è chi pensa per lui. Quando il Partito è uno, una è la Verità. Quella volta, la Verità decise che Bartali andasse in Francia e ritornasse vincitore. E Bartali va in Francia. Già alla settima tappa è maglia gialla. La riconferma l’indomani. Durante la tappa che porta a Briançon, su una strada spruzzata d’acquerugiola, mentre passano un ponte, Jules Rossi scivola. Bartali, per scartarlo, vola oltre le spallette, cade nell’acque ghiacce del Colau. Lo ripescano. Dolora. Torna in sella. Esplode una febbraccia. Perde il primato. Non si arrende. Sa di poter recuperare. Recupera. Sa di poter provare a vincere. La Verità, però, se prima gli aveva imposto di partire, ora gli impone di tornare. E Gino lascia il Tour, che sarà vinto da Roger Lapébie. Bartali chiude la stagione piluccando qualche corsa di un giorno.

          Nuove vittorie gli regala la nuova primavera, auspicio buono per il Giro d’Italia che prende a intravedersi. La Verità, però, ha ponzato una nuova sentenza: nessun ciclista mai potrà vincere Giro e Tour nella stessa stagione; e, come corollario: Bartali correrà e vincerà in Francia, perciò dovrà saltare il Giro. E Bartali, leone ingabbiato, starà a guardare gli altri correre, e amaro plaudirà a Giovanni Valetti, atleta vigoroso, elegantissimo, in maglia rosa dalla nona all’ultima tappa.

          Eccolo finalmente, il Tour del 1938! Gino vince a Marsiglia, trionfa a Briançon, chiude primo a Parigi con 18 minuti e 27 secondi sul belga Vervaecke. Pure sua la speciale classifica degli scalatori.

          Il resto, forse, è noto a ognuno: l’esplosione di Coppi (Giro d’Italia del Quaranta), la guerra. Poi la vita riprende, riprendono le corse, e Gino vince il Giro del Quarantasei e Fausto quello del Quarantasette. Nel 1948, mentre l’Italia è in preda a cupi scricchiolii, Bartali torna in Francia e il Tour è nuovamente suo. Nel 1949 Fausto Coppi trionfa alato e splendido al Giro e al Tour, smentendo il pregiudizio predicante la cosa impossibile. Tre anni dopo si ripete. Da allora, la magica accoppiata sarà compiuta da Anquetil e da Merckx, da Hinault, da Roche e da Marco Pantani. La morte, inopinata e atroce, rapirà al sole Fausto quarantenne. Inciccito e pacioso, accompagnato sempre da una raucedine che dava alla sua voce il timbro d’una mal centrata stazione radiofonica, Gino vivrà ancora a lungo: tra cuccume di caffè e sigarette rigidamente senza filtro, tra imprecazioni rapide e violente come pioggia d’Agosto, tra fervide preghiere snocciolate a palme giunte a Maria e a santa Teresa di Lisieux. Si spegnerà nel Maggio del 2000.

Ettore Marino
Autore: Ettore Marino

Lettore, se ne hai curiosità, sappi che Ettore Marino, arbërèsh di Vaccarizzo Albanese, è nato a Cosenza nel 1966; che ha collaborato e collabora con varie gazzette cartacee e digitali; che per Donzelli Editore è uscita, nel 2018, la sua "Storia del popolo albanese. Dalle origini ai giorni nostri"; che nel 2021 è diventata libro, per le Edizioni "ilfilorosso", una sua raccolta di liriche intitolata "Patibolo"; che nell’Aprile del 2022 ha pubblicato, per Rubbettino Editore, "Un quadrifoglio, verde tra le spine. Traduzioni da poeti italoalbanesi"; che ha scritto molte altre cose di cui va talora chiedendosi se resteranno sempre inedite; che è arcilieto di collaborare con L’Eco dello Jonio; che il Covid, di cui pure ha patito, non gli ha fatto dismettere l’uso del tabacco; che ignora quando e come morirà.