Ciò che di già sapevo. Sbadigli sulla pandemia
Per prosa e per verso, tra scherzo e serietà, un po’ di frusti insegnamenti della pandemia

Fu al bar del grande Pippo che per la prima volta, una sera di Gennaio del 2020, sentii parlare, per TV, d’una strana influenza che aduggiava una landa della Cina. Con ansiosa saggezza il grande Pippo stesso si domandò se mai ci fosse rischio che quell’ignoto morbo potesse giungere tra noi. Un desolato “Speriamo di no!” s’accompagnò ai sospiri. Durante la prima rigidissima reclusione seguii attento su Youtube la conferenza d’un plurititolato epidemiologo che, tra dati e teorie, mostrava inappellabilmente che quella febbraccia sarebbe dileguata nel giro di poche settimane. Il giorno dopo, sempre su Youtube, un altro non meno titolato epidemiologo metteva in guardia, e pur egli con dati e teorie nonché in modo non meno inappellabile, da un ottimismo pernicioso, e concludeva plumbeo che il morbo ci avrebbe assatanati per mesi e forse anni. Le fosse, allora, non soltanto non erano piene di quel senno di poi così soave a attingersi e a scodellarsi nei salotti, ma del senno in questione nessuna fossa recava ancora né un grano né uno spruzzo. Divertito fu lo sconcerto che me ne venne; quanto all’ansia, m’è compagna da lustri, né quasi più le bado. Trovai conforto nella lettura, in passeggiate solitarie a ritmo indiavolato, nel tabacco… Conforto meno solitario mi regalò Whatsapp, giacché presi il costume di tempestare amiche e amici di versi in metro vario finalizzati a stuzzicare un sorriso pensoso, se non una franca risata. Echi d’amor sapiente trovai nella professoressa Dina Memish, ricercatrice in Chimica farmaceutica, la quale, intuito che ebbe la mia fifa, mi giurò, con materna canzonatura, che avrebbe per me solo sintetizzato quanto prima un antivirale che oltre a preservarmi dalla cinese mi avrebbe racchetato, per benzodiazepiniche virtù, ogni moto possibile d’ansia. L’affettuosa ironia della gentile nonché leggiadra amica fu ciò che di più sensato mi sia riuscito di raccogliere da tutto il seminio d’affannose domande che avevo sparso tra chi mi vuole bene. A insegnarmi però ciò che di già sapevo, fu quanto segue. Da amici della cui onestà intellettuale rassicuro chi legge, appresi alcune bronzee verità, base ad ognuna delle quali, l’inconcussa certezza che il Covid 19 è stato opera dell’uomo. Si badi: potrebbe trattarsi davvero d’un virus manufatto; quanto all’esserne certi, è sentiero di spine. Ecco, comunque, le varie verità: il Covid 19 l’hanno inventato i cinesi, bastardi in cuore dacché non son più comunisti; il Covid 19 è stato un’invenzione dei cinesi, che vanno strombazzando d’essersi mitigati e sono comunisti più aspri di prima; il Covid 19 è opera d’una macchinazione degli ebrei; il Covid 19 lo dobbiamo agli USA; l’idea prima d’un virus sterminatore è venuta in mente a qualche cardinale; il Covid 19 lo si deve ai trotskisti. Il tono gigionesco dello scritto non inganni nessuno: le proposizioni appena riportate mi furono enunciate in tutta serietà da persone, ripeto, meritevoli ognuna di affetto e di stima – che è quanto più sconcerta. Ritorno perciò al gioco offrendo ai lettori dell’Eco due mie odicine e due mie ottave, scritte e diffuse in vari snodi della funesta contingenza.
Odicina 1: Benché ci assalgano / da mille lati / virus terribili / sempre più irati; // benché impossibile / torni capire / se vaccinandoci / si va a morire; // benché il pandemico / morbo funesto / non mostri animo / d’andar via presto; // benché le scatole / (mi perdonate?) / per spasmi ed ansimi / sian frantumate; // a tutti io auguro / oltre ogni pena / una domenica / lieta e serena!
Ottava 1: A chi mi chiede in dono rime nuove; / a chi né rime o altro mai mi chiese; / a chi d’affetto mi diè mille prove; / a chi con me fu appena un po’ cortese, / dico che sordo o stronzo è il sommo Giove / che i preghi nostri alla rovescia intese. / Che valse mai gioir se ci fu festa? / I giorni se ne vanno, il morbo resta!
Odicina 2: Saette e fulmini, / tuoni e procelle! / i nervi fremono / a fior di pelle; / giungono a torcersi / pure le ossa: / l’Italia è rossa! // Non è politica, / non è il conato / d’un ecumenico / più giusto stato. / È cosa semplice, / banale e dura: / è una rottura! // Sempre tra maschere, / sempre coi guanti, / sempre un isterico / fuggir gli astanti / correndo a chiuderci / per prevenzione: / è una prigione! // Ma un dono timido, / tremulo e fioco, / giunge via etere / a voi per gioco. / Non domandatevi / che cosa sia: / è una poesia…
Ottava 2: Il mondo era arancione e adesso è giallo. / Fu azzurro, lo ricordo, e verde, e viola; / tornerà presto rosso e, senza fallo, / seguiterà l’isterica caròla / di mutar tinta a ogni cantar di gallo / per chi piange o ridendo si consola. / Viviamo in un perenne arcobaleno: / ma quando il cielo tornerà sereno?