La Calabria può fidarsi di Salvini?
Facciamo subito outing. Il titolo è una citazione (diciamo geolocalizzata) del servizio dedicato ieri a Matteo Salvini dalla Bbc, network britannico che non può essere accusato di intelligenza con il nemico (individuato dai sostenitori del ministro nella categoria dei “radical chic”). È una citazione anche l’aneddoto che segue. Fabrizia Ieluzzi, prima moglie del leader della Lega descrive il suo bizzarro matrimonio. Siamo nel 2003 e la parola d’ordine politica del(l’allora) partito antimeridionale è “secessione”. «È stato folle – racconta la donna –. Io sono di origini pugliesi, e lui è settentrionale. Tanto per cominciare, c’erano quattro suoi parenti e i miei erano 200. Poi, quando stavamo per tagliare la torta, si è tolto la camicia e ne ha indossata una verde, il colore della Lega. Lui e i suoi amici hanno cominciato a intonare cori del partito. E dai miei parenti, dall’altro lato della sala, sono partiti i “buu” e fischi. Ecco, questo è stato il mio matrimonio».
Quindici anni dopo, i dirigenti della Lega (un po’ meno la “pancia” del partito) hanno messo da parte la secessione e puntano a conquistare (anche) il Sud. Soprattutto la Calabria. L’attivismo del ministro non è un caso, le sue visite neanche. Ci si muove sulla linea sottile che separa la presenza istituzionale dal calcolo politico. La Calabria è uno dei più capienti serbatoi di consenso per il Movimento 5Stelle che, in alcune aree, ha superato il 50% delle preferenze alle Politiche del 4 marzo scorso. Lo scopo del leader della Lega è quello di rosicchiare parte di quel consenso (la parte “di destra”), eroderlo e trasferirlo sotto le insegne della (sua) nuova Lega.
Non è un caso che il M5S abbia “risposto” alle frequenti visite del vicepremier con l’arrivo di qualche “big”. Nelle ultime settimane sono arrivati sia il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia che la ministra per la coesione territoriale Barbara Lezzi (che, tra l’altro, ha scontentato i “suoi” elogiando la gestione dei fondi Ue da parte del governo Oliverio).
Sul piano mediatico, però, la visita di Salvini nel cuore dell’Aspromonte segna un (altro) punto a favore della Lega e aumenta le speranze di mettere (politicamente) le mani sul tesoretto a cinquestelle.
Meno fortunate (sempre sul piano mediatico) le uscite di una parte della deputazione leghista calabrese. Non c’è stato neppure il tempo di registrare l’esultanza per l’esito positivo dell’operazione “Spiagge sicure” che, proprio su una spiaggia, un killer a volto scoperto ha ucciso, a Nicotera, Francesco Timpano. I fatti si preoccupano spesso di smentire le parole d’ordine, specie quando sono inadeguate alle vere emergenze del territorio. E, sempre a proposito di parole d’ordine, martedì dalle colonne di Repubblica, Roberto Saviano commenta la visita di Salvini a San Luca. Con una prece: «Per favore, questa volta non faccia come a Rosarno, dove su quasi 27 minuti di comizio ha dedicato solo 40 secondi alla ‘ndrangheta (di cui alcuni impiegati a urlare il solito – cito testualmente – “a me la ‘ndrangheta fa schifo”) e ha invece dichiarato pubblicamente che il vero problema del paese è la baraccopoli». Questione di lenti. Potrebbero essere «deformanti» quelle offerte a Salvini per leggere la criminalità organizzata calabrese. A San Luca ci si aspetta qualcosa in più di quel “la ‘ndrangheta fa schifo” che non fa poi troppa paura ai capiclan.
Servirà anche per capire quale sia la distanza tra il Salvini di oggi e quello che Furio Colombo, già parlamentare e direttore de L’Unità, descriveva con piglio quasi antropologico in “Contro la Lega”, volume del 2012 che oggi i salviniani non faticherebbero a definire “radical chic”: la «smorfia di caratterista cattivo del vecchio cinema», l’«intento di essere maleducato con chiarezza, ma evitando con una certa bravura l’insulto finale».
È il breve resoconto di un “Linea notte” del 4 giugno 2010. A quei tempi Salvini era perfettamente inserito nel sistema politico della Lega Nord: deputato europeo, consigliere comunale di Milano, direttore di Radio Padania. Quasi dieci anni dopo – tra i superstiti della generazione bossiana – si propone come homo novus della politica, vuole rappresentare (anche) gli interessi del Sud e (forse) cannibalizzare i propri alleati. Quasi dieci anni dopo motti e cori sono cambiati.
Il «personaggio» (definizione del suo biografo Matteo Pucciarelli, giornalista di Repubblica) non canterebbe più gli inni antimeridionali mentre taglia la torta di nozze, perché ha cambiato il bersaglio delle proprie invettive. Il libro di Furio Colombo si apriva con una citazione dagli atti del processo intentato dall’Alta Corte di Strasburgo per i diritti umani, che condannò l’Italia il 23 febbraio 2012 per crimini contro l’umanità: «Avete fatto del Mediterraneo una Guantanamo in alto mare». Si moriva già allora, nel deserto e in mare, lungo le rotte dei disperati. E la Lega, ieri come oggi, chiedeva di respingere i migranti, di consegnarli alla Libia. Mentre, a qualche chilometro da Polsi, un sindaco da anni li accoglieva per “rifondare” Riace. Ai viaggi di Salvini in Calabria forse manca una tappa. Manca alla Lega (non più) nord. Manca al ministro che dovrebbe distinguere tra presenza istituzionale e calcolo politico. E che forse quella tappa “deve” saltarla per cannibalizzare più in fretta i propri alleati. È quello che chiede il «personaggio» sul palcoscenico dei social. Ma ci si può fidare di un personaggio?
Fonte - corrieredellacalabria.it