di Federica Candelise* Con la recente ed incisiva pronuncia dello scorso 11 Luglio 2018, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha offerto una nuova chiave di lettura in tema di divorzio, stabilendo i criteri definitivi con i quali il Giudice dovrà quantificare l’assegno divorzile ed evitare così che un coniuge possa approfittarsi dell’altro. Per meglio comprendere tali parametri è opportuno sottolineare che, benché spesso vengano impropriamente utilizzati come sinonimi, esiste in realtà una sostanziale differenza tra assegno divorzile, assegno di mantenimento e alimenti; prima però di chiarire tali differenze occorre, a monte, fare una fondamentale breve distinzione tra gli effetti della separazione e quelli del divorzio. Con la separazione si sospendono (fino al momento in cui i coniugi decideranno di divorziare o di riconciliarsi) i doveri personali del matrimonio quali il dovere di coabitazione, il dovere di fedeltà, di collaborazione alla vita organizzativa della famiglia e di assistenza morale. Persiste invece il dovere materiale, ossia il dovere di provvedere ai bisogni economici dell’altro coniuge; di conseguenza dunque sotto il profilo strettamente patrimoniale sostanzialmente nulla cambia in questa fase “intermedia”. Con la pronuncia della sentenza di divorzio invece cessano tutti gli effetti del matrimonio, sia sul piano personale (che a differenza della condizione di precedente sospensione, qui decadono definitivamente) che su quello patrimoniale facendo così cessare anche l’obbligo, tra i coniugi, di contribuzione economica reciproca. Chiarito questo primo importante punto, appare opportuno tracciare le differenze tra i vari tipi di assegno inizialmente citati. Per quanto concerne l’assegno di mantenimento, questo viene emesso in sede di separazione in favore del coniuge a cui non sia stata addebitata la separazione e che non abbia i mezzi adeguati per condurre una vita simile a quella condotta in costanza di matrimonio, al fine di fargli mantenere uno stile di vita paragonabile per quanto possibile a quello precedente. Sul punto però la giurisprudenza ha chiarito che il nuovo tenore di vita non deve essere necessariamente analogo a quello precedente, poichè è facilmente intuibile come, ad esempio, lo stesso reddito non possa mantenere nel medesimo modo due persone che vivranno separatamente (si pensi ai coniugi privi di case di proprietà che si troveranno successivamente ad essere gravati da un notevole aumento di spese per mantenere due appartamenti diversi, rendendo così impossibile mantenere inalterato il tenore di vita precedente). Essenza dell’assegno di mantenimento, pertanto, è quella di tutelare il coniuge economicamente più debole nella fase di separazione, consentendogli di condurre il tanto auspicato tenore di vita goduto nel corso del matrimonio, a condizione che non abbia un reddito adeguato e che l’altro coniuge abbia un reddito sufficiente. Altra cosa sono invece gli alimenti che hanno uno scopo unicamente assistenziale, il c.d. assegno alimentare è infatti versato dal coniuge separato (quindi sempre e solo nella fase di separazione e non di divorzio) nel caso in cui l’altro coniuge si trovi in uno stato di indigenza tale da non riuscire a provvedere neppure ai minimi mezzi di sopravvivenza per cause non a lui imputabili ed a prescindere dall’addebito o meno della separazione. Altresì differente dagli altri due è l’assegno divorzile, stabilito appunto in sede di divorzio, che svolge infine funzione risarcitoria, compensativa e solidaristica secondo un principio di solidarietà postconiugale, il cui presupposto essenziale per poterne avere diritto è la mancanza di adeguati mezzi economici o la difficoltà di procurarseli per ragioni oggettive. Per quantificarne l’importo, secondo la tradizionale dottrina, occorre tener conto dei seguenti criteri: contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla conduzione familiare, condizioni personali dei coniugi e relativi redditi, durata del matrimonio. Con la recente e predominante sentenza n. 18287/2018 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite sono stati definitivamente fissati i criteri di assegnazione dell’assegno divorzile, che da ora in avanti saranno individuati basandosi anche sul principio di pari dignità, oltre che sulla disparità economica dei coniugi (criterio del tenore di vita) e sulle condizioni soggettive del coniuge che auspica ad ottenere l’assegno (criterio di autoresponsabilità). In concreto per la Suprema Corte è ora necessario in primis il riconoscimento dei sacrifici impiegati, nell’interesse della famiglia, da entrambi i coniugi durante il matrimonio che saranno compensati attraverso il riconoscimento di un contributo economico in favore del coniuge maggiormente “sacrificato”. Nel far ciò il Giudice del divorzio, chiamato a decidere sul diritto all’assegno divorzile, dovrà: accertare l’esistenza di un notevole squilibrio economico tra i coniugi; verificare che tale squilibrio delle posizioni economiche dei coniugi sia causato dalle scelte di conduzione della vita familiare, adottate di comune accordo, ed implicanti la rinuncia alla professione ed ai redditi di un coniuge (dedicatosi, ad esempio, alla gestione casalinga del menàge familiare) così da permettere all’altro di concentrarsi sulla carriera per la realizzazione del superiore e comune interesse familiare; valutare se il divario economico tra i coniugi possa essere superato con il recupero della propria vita professionale da parte del coniuge più debole; quantificare infine l’importo dell’assegno divorzile (che dunque sarà reintegratorio - a natura composta compensativo, risarcitorio e assistenziale) adeguandolo al contributo personale fornito alla vita della famiglia. Tutti questi elementi andranno valutati tenendo anche conto della durata del matrimonio. In conclusione si può senza indugio affermare che i giudici, per determinare in concreto l’assegno, dovranno utilizzare un sistema elastico tenendo conto di tutti i parametri previsti dalla legge, mediante l’equiparazione dei criteri sopra elencati che dovranno essere tutti considerati con la stessa importanza e valutati caso per caso, senza standardizzazioni di sorta. Dal quadro sinora delineato emerge quindi una maggiore tutela per il coniuge più debole, diminuendo pertanto il rischio che le scelte ed i sacrifici compiuti insieme dagli ormai ex coniugi possano rimanere privi di effetti per le loro vite future. *
Avvocato matrimonialista, penalista della famiglia, responsabile sezione giovanile AMI (avvocati matrimoniali italiani) Catanzaro-Cosenza, esperta in criminologia investigativa e scienze forensi mail: avv.federicacandelise@gmail.com