Bambini calabresi tra i più obesi d’Europa? «I genitori sono i primi responsabili»
La Pedagogista Renzo: «Coinvolgere ed educare le famiglie»

CORIGLIANO-ROSSANO – Poco importa se, in proporzione, un chilo della più famosa tra le creme alla nocciola costa almeno il doppio di un chilo di mele. Non è una questione economica, ma un fattore culturale, di diseducazione alimentare e di povertà educativa: ci sarà sempre un genitore che preferirà mettere nel carrello snack e prodotti ultra-processati a prodotti naturali per la merenda dei propri figli. Nasce da qui, purtroppo, l’obesità infantile, che vede tristemente tra i primi posti in Europa la nostra regione.
«Gli impegni lavorativi di entrambi i genitori – sottolinea la pedagogista Teresa Pia Renzo – i influiscono spesso sul tempo che si dedica alla cucina domestica, favorendo la scelta di cibi preconfezionati a dispetto di un pasto più salutare e con materie prime di qualità. Bisognerebbe invertire la tendenza. Il 35,7% dei calabresi è obeso. Non è una invenzione. Lo certificano i dati del sistema sorveglianza Passi dell’Istituto superiore di Sanità. Tradotto: è obeso un residente su 10 e al 32% si consiglia di perdere peso».
È dimostrato: abitudini alimentari sane acquisite entro i 5 anni influenzano positivamente il futuro. Perché è entro i 5 anni che si definiscono le preferenze alimentari. Ecco perché le scuole devono educare ad una dieta varia e stagionale, con porzioni ridotte e piatti semplici per ridurre gli sprechi. Gli abbinamenti creativi possono essere strategici per incentivare l’accettazione di cibi sani che spesso avviene anche per emulazione dei propri coetanei. Il cambiamento richiede il coinvolgimento delle famiglie, chiamate a riscoprire – insiste – stagionalità e sostituire cibi processati con alternative fresche.
«Anche l’uso eccessivo di dispositivi digitali – continua la direttrice del Polo infanzia Magnolia – sostituisce il tempo genitori-figli. Bisogna imporsi con regole chiare: niente smartphone a tavola o prima di dormire; bisogna guardare solo contenuti educativi; limitare il tempo di esposizione. Una comunicazione familiare efficace e momenti di gioco sono antidoti alla dipendenza tecnologica».
«Più subdola di quella economica – sottolinea la pedagogista Renzo – la povertà educativa, ostacola lo sviluppo individuale e la realizzazione personale, incentivando fenomeni come l’abbandono scolastico, lo sfruttamento minorile e rischi sociali (bullismo, violenza). Occorre integrare nei programmi scolastici, a partire dalle classi delle scuole dell’infanzia, percorsi di educazione civica, ambientale e alimentare, coinvolgendo le famiglie. Nei contesti fragili, oltre ai sostegni economici, servono interventi pratici: ad esempio, progetti scolastici con menù bilanciati; incontri di sensibilizzazione rivolti ai genitori sulla nutrizione ed approcci graduali per abituare i bambini a diete sane, promuovendo la priorità di cibo salutare rispetto ai prodotti processati o ai beni superflui».
«Lo sport, oltre alla competizione, può essere strumento pedagogico per abilità cognitive e relazionali, se bilanciato con inclusività. In assenza di strutture e offerte diversificate – aggiunge la pedagogista – praticare passeggiate all’aria aperta, andando per boschi o campagne o alla scoperta di dei centri storici, aiuta a trasmettere ai bambini abitudini salutari, oltre a ritagliare momenti e tempo di qualità da dedicare ai figli. Si crea così – conclude la Renzo – un circolo virtuoso attraverso il gioco attivo e la scoperta del territorio».