Di nuove province: è una questione di visione
Riceviamo e pubblichiamo il commento del presidente del Comitato Magna Graecia, Domenico Mazza, al corsivo del direttore Marco Lefosse, con la precisazione a margine
CORIGLIANO-ROSSANO - Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta che il presidente del Comitato Magna Graecia, Domenico Mazza, ha inteso inoltrarci in commento al corisvo del direttore Marco Lefosse (La provincia invisibile: non ci può essere Sibaritide senza Pollino), ritenendo che in questo particolare momento storico non ci sia momento più bello e costruttivo del dialogo civile e democratico. A margine della corposa missiva di Mazza la chiusa del direttore. Buona lettura!
Egregio Direttore, ho letto attentamente il suo ultimo editoriale riguardante il tentativo di elevazione amministrativa del contesto jonico. Devo ammettere che mi hanno lasciato perplesso alcune sue dichiarazioni e vorrei approfittare di questa missiva per esternare i miei dubbi e le mie esitazioni su alcune ragioni da Lei sostenute.
Intanto, ridurre il discorso di una eventuale nuova Provincia alla creazione di qualche ufficietto non mi ha mai affascinato e voglio augurarmi non appassioni neppure la Popolazione jonica. È abbastanza noto, ritengo, che scelte di questo tipo restino tutte in capo alla Politica. Personalmente, nel saggio “La baia della Magna Graecia”, ho chiarito una serie di modalità che, a saldo zero per lo Stato, permetterebbero uno sdoppiamento dei servizi principali su ambedue le aree (Crotonese - Sibaritide). Per altri versi, ricondurre alla semplice rappresentanza di Stato un argomento di crescita ed elevazione culturale e politica, ancor prima che amministrativa, ritengo sia riduttivo e non rispondente a quei parametri che dovrebbero motivare l'ambito jonico a ricercare la propria dimensione. Ne parlavano anche nei suoi studi, se ricorda: non basterebbe certo una nuova Provincia per poter sanare la disparità di gettito statale che realtà come Corigliano-Rossano o Crotone scontano rispetto a contesti come quelli dei Capoluoghi storici o di Città da sempre succursali a quest'ultimi. I differenti rapporti di gettito, d'altronde, implicano anche una disparità nei servizi. Come Lei sa, oggi un cittadino dell'Arco Jonico sostiene più spese rispetto al cittadino di altri contesti. E questo discorso vale tanto in campo di mobilità e trasporti, quanto in quello sanitario, quanto in quello dei servizi in genere. Se su Corigliano-Rossano o su Crotone abbiamo un rapporto di un dipendente pubblico ogni 19 cittadini, mentre su Cosenza, Catanzaro, Paola, Castrovillari o Locri, per citarLe alcuni fra i casi più eclatanti, tale forbice si riduce a 1/3, 1/4 o, al massimo, 1/5, comprenderà quanto lo Stato abbia utilizzato verso questi contesti la classica dimensione dei due pesi e due misure. Appare lampante, quindi, che sullo Jonio bisognerebbe guardare ad altri profili di sostentamento economico. Mi riferisco all'agricoltura, al turismo, alla rigenerazione dei siti industriali dismessi.... E, ritengo sia pacifico che a sovrintendere e amministrare tali processi dovrebbero essere quelle Figure politiche che tali processi li abbiano vissuti, li conoscano e siano in grado di trovare quelle soluzioni migliorative per poterli rifunzionalizzare. Non crederà, mi auguro, che a poter gestire porti, marinerie, agricoltura, turismo e industria debbano essere quelle figure che storicamente non hanno mai avuto nulla a che fare con tali processi?
Stabilito questo primo parametro vorrei entrare in una questione più prettamente geografica.
Le scelte infrastrutturali operate negli ultimi 50 anni, hanno modificato radicalmente la geografia e gli spostamenti della Regione. La decisione di allocare la A2 lungo l'area valliva a scapito delle linee di costa ha generato una sorta di simbiosi tra quelle Località che gravitano lungo l'asse autostradale. Oggi, se ci pensa, raggiungere Cosenza da Castrovillari e viceversa significa impiegare 25 minuti d'auto, viaggiando lungo un corridoio, moderno e funzionale, a 4 corsie. Parimenti, la connessione Lamezia-Cosenza si riduce a 40 minuti nonostante l'attraversamento di un territorio impervio come la valle del Savuto. E sarà necessario investire ancora meno tempo appena sarà terminata la preventivata variante Cosenza-Altilia lungo l'autostrada. Immagino sappia che chi vive il Pollino interno non avrebbe certo convenienza o interesse a raggiungere la linea di costa jonica. Quest’ultima, invero, risulta decentrata rispetto alla direttrice valliva e comuque più distante rispetto alla prima. Provi a chiedere ad un abitante di Laino Borgo o di Papasidero o di Mormanno se siano disposti a barattare il loro centro servizi dell’area urbana bruzia con quella sibarita? Ammesso e non concesso conoscano l’allocazione di Corigliano-Rossano, si sbellicherebbero dalle risa. Pensi, in quel quadrante geografico, da circa 40 anni, aspettano il completamento della Mormanno-Scalea. Un'infrastruttura, quest'ultima, che consentirebbe di arrivare dal cuore del Pollino in Riviera dei Cedri in meno di mezz'ora. Da quelle parti, non sono certo alla ricerca di una connessione veloce con Corigliano-Rossano. La Città sibarita, infatti, resta adagiata in un quadrante d'ambito che con le summenzionate Popolazioni non condivide assolutamente nulla.
Ho letto nella sua nota, ancora, un riferimento all'eventuale ingestibilità di un'area tra Rocca Imperiale e Steccato di Cutro che Lei, per dimensione territoriale, paragona alla Liguria. Tuttavia, non ho riscontrato un solo riferimento al fatto che oggi restiamo inquadrati in una territorio (la Provincia di CS) con una superficie che doppia l'eventuale ambito Magna Graecia. Vieppiù, mentre le aree sibarita e crotoniate dovrebbero essere amalgamate poiché condividenti interessi comuni (medesime economie, stesse potenzialità, pari soccombenza ai rispettivi centralismi e, ahinoi, medesimi ritardi), la provincia di Cosenza è una elefantiaca accozzaglia di microambiti, mai riuniti né per storia, né per tradizioni e soprattutto con differenti processi economici. Le stesse aree di costa, mi riferisco alla linea tirrenica e a quella jonica cosentina, seppur adagiate entrambe sul mare, vivono di economie diverse perché legate a differenti conformazioni territoriali. La prima è un territorio che si presenta in alcuni punti quasi a falesia, la seconda è una riviera con ampie aree pianeggianti e contesti storici distanti dalla linea di costa. Nel primo caso, si registra l'assenza di aree interne afferenti i contesti rivieraschi; fatto salvo qualche Comunità che si conta sulla punta delle dita, il resto sono Paesi sul mare. Lo Jonio, l'Arco Jonico, ha, compresa tra gli alvei del Neto e quello del Trionto, una delle più grandi aree interne d’Italia. L’entroterra (Marchesato/Sila-Graeca), per buona parte già inquadrato nella strategia S.N.A.I (strategia nazionale aree interne), è distante da tutto. Tale contesto, da quando gli ospedali di San Giovanni in Fiore, Acri e Cariati sono stati ridimensionati e resi scatole vuote, non conosce più il concetto di sanità. Non ha mai saputo cosa fossero la mobilità e un efficiente servizio di trasporti e, ormai, annaspa a comprendere il significato della parola servizio. Pertanto, il richiamato ambito, avrebbe tutte le necessità di un riferimento sul territorio che non può esulare dalle due pertinenze e principali Città in linea di costa: Crotone a sud-est e Corigliano-Rossano a nord-est.
Ha fatto, Direttore, nel suo corsivo, un riferimento alla creazione di un'ASP. Mi rincresce che, un osservatore attento come Lei, sia caduto nel medesimo abbaglio già commesso da tanti degli improvvisati cultori amministrativi che negli ultimi giorni si sono dilettati a scrivere sul tema. Crotone, Vibo, hanno già delle ASP autonome. Tuttavia, il livello e l'erogazione delle prestazioni sanitarie di tali contesti è similare a quello presente lungo lo Jonio cosentino. Inoltre, per ovvi motivi legati al dimensionamento dei presidi HUB, sono inglobate nell’AO Dulbecco di Catanzaro. Le ASP, Direttore, si occupano di medicina territoriale, non già di medicina ospedaliera. Quest'ultima fa capo alle AO, per la cui costituzione necessitano tetti demografici di almeno 300mila abitanti. Stesso discorso vale per quegli ambienti ospedalieri come i reparti d’emodinamica e pneumologia. Non Le sarà sfuggito, infatti, che l'inquadramento di tali reparti resta già nelle strutture di Cosenza, Castrovillari, Catanzaro, Polistena e Reggio, più qualche struttura privata dell'alto Tirreno cosentino. Come potrà notare, tutte località che, fatto salvo Catanzaro, giacciono sulla dorsale vallivo tirrenica, nonostante l’area jonica rappresenti un quarto della demografia dell’intera Regione. Ebbene, tutte le rabberciate proposte messe in campo nell'ultimo mese: Sibaritide, Sibaritide-Pollino, Corigliano-Rossano, Corigliano-Rossano/Castrovillari, Castrovillari-Sibari, e mi perdoni se dovessi averne dimenticata qualcuna, non dispongono di un'ampiezza demografica tale per fornire risposte adeguate dal punto di vista sanitario. Non è un caso che ai tempi della compianta Presidente Santelli, come Lei stesso ricordava durante una puntata del suo Talk nel quale mi aveva onorato d'invito, il Consigliere Graziano presentò un disegno di legge per ottimizzare gli ambienti sanitari calabresi. Tale disegno, poi naufragato nel limbo della costituzione di Azienda Zero, nel caso jonico, prevedeva gli accorpamenti dei tre distretti dell'ASP di Crotone e dei due distretti sanitari dello Jonio cosentino (oggi uno) per creare un'ASP unica. Parimenti, si delineava la costituzione di un'AO che avrebbe dovuto abbracciare gli ospedali di Crotone, San Giovanni in Fiore, Cariati, Acri, Trebisacce e il futuro ospedale unico della Sibaritide, al fine di generare un'offerta ospedaliera importante e forte di circa 950 posti letto complessivi.
Nel suo scritto, ancora, parla di 52 comuni che potrebbero far capo ad un nuovo Ente. Le faccio una domanda: come potrebbero 52 comuni rompere equilibri cristallizzati rispetto ad un ambito sul quale ne resterebbero comunque 98 e che per popolazione complessiva surclasserebbero e doppierebbero la bozza d’ambito jonico? Fermo restando le indisponibilità governative a riconoscere nuovi Enti (la proposta di rigenerazione della Province che andrà in discussione a dicembre prevede l’estensione di voto a suffragio universale, non già la creazione di nuovi Enti), restano i paramenti della vigente normativa per trovare soluzioni attuabili e applicabili al contesto jonico. La 56/14, Direttore, passata alla storia come legge Delrio, non è nata per soppiantare le piccole Province. Al contrario, ha cercato di porre un freno ad un fenomeno che in Italia, ovunque applicato, aveva dimostrato tutti i suoi limiti. Non sono stati solo gli ambiti di Crotone e Vibo i due tentativi mal riusciti di emancipazione territoriale. Biella, Fermo, Lodi, Verbano-Cusio-Ossola e altre hanno miseramente fallito il proprio tentativo di crescita e indipendenza. Sono restate sempre legate al cordone ombelicale con il relativo Capoluogo storico. E le proposte che, negli ultimi tempi, stanno circolando sul martoriato ambito dell'ex Calabria Citra, sono, né più né meno, che cloni malriusciti di tentativi già falliti laddove applicati. Pensi, Direttore, proprio ieri leggevo sulla testata da Lei diretta, una singolare nota sul tema dell'autonomia territoriale. Nel comunicato si prospettava, a seguito della eventuale costituzione di un nuovo Ente nella Sibaritide, l'attivazione, sic et simpliciter, di una nuova Camera di Commercio. Evidentemente, a sostenere tesi del genere o si è in malafede o si mente sapendo di mentire. Oppure, molto più probabilmente, si è totalmente all'oscuro di quella che è stata la riforma dell'Ente in questione a partire dal 2015 e perfezionata al 22 febbraio 2024. In tale circostanza, le ex 105 CdC sono state ridotte a 31 più 33 nuovi Enti accorpati (sostituitivi degli ex 74) con almeno 75000 imprese iscritte. Va da sé che, essendo 110 i Capoluoghi di Provincia in Italia e poco più della metà le nuove CdC, bisognerebbe consigliare ai fautori di tali fantasiose proposte di rivedere, almeno, qualche argomento matematico. Risultano lapalissiane, d'altronde, le evidenti lacune dimostrate nel far di conto.
Converrà, Direttore, che, ad oggi, nessuno sia entrato nel merito di come realizzare questa non meglio identificata nuova area. Abbiamo letto aleatori pensieri, privi di fondamento giuridico-normativo e, soprattutto, scollati dalla realtà. Non è questione di mettere paletti a Castrovillari, ci mancherebbe. Dovrebbe spiegarmi Lei, però, quale sia il senso della critica avviata negli ultimi 12 anni ad un ambito come il foro di Castrovillari, per ovvi motivi che non stiamo qui a rimarcare, e poi, lo stesso contesto dovrebbe essere funzionale ad un nuovo ambito amministrativo? Qualcuno potrebbe dirci che siamo su "Scherzi a Parte", le pare?
Direttore, durante una nostra conversazione telefonica le riferii: "Prima si costruisce una casa, poi si pensa agli arredi"..... Aggiungo, a quanto le dissi: gli arredi si acquistano in funzione di quelli che saranno gli spazi abitativi. Atteso che la "casa" dovrebbe essere il nuovo ambiente geografico, gli arredi saranno le infrastrutture che dovranno essere pensate per funzionalizzare il rinnovato ambito geografico. L'interdipendenza, tra la Sibaritide e il Crotonese, sarebbe già nei fatti..... Solo una persona con evidenti difficoltà a leggere una cartina geografica potrebbe pensare il contrario. Solo uno sprovveduto che non abbia mai aperto un libro di storia potrebbe pensarla diversamente. O, con molta più probabilità, solo una deviata visione politica, legata esclusivamente a interessi di natura personalistica e genuflessa agli equilibri del centralismo storico, potrebbe sostenere l'opposto. Per il resto, e perdoni quello che potrebbe apparire come arroganza, ma è solo consapevolezza, l'idea Magna Graecia è inclusiva, plurale, policentrica e soprattutto riequilibrante un territorio, come quello calabrese, caratterizzato da aree di figli e aree di figliastri. Una rinnovata Provincia, Direttore, ancor prima che un range amministrativo dovrebbe inverare un giusto ed equilibrato peso politico. Una nuova valenza, ergo, che consenta all'ambito jonico di potere sedere al tavolo delle decisioni confrontandosi, in pari diritti e pari dignità, con le tre teste storiche (CS-CZ-RC) della Regione. Per farlo, servono territorio e demografia.
Direttore, possiamo girarci intorno quanto vogliamo: non esiste altra soluzione percorribile che non preveda la sintesi del Crotonese e della Sibaritide. A meno che non si vogliano generare fiumi di parole sconnesse e ormai datate di oltre 30 anni, come buona parte di quelle che, negli ultimi tempi, hanno invaso la stampa cartacea e digitale. Parole vuote — Le aggiungo — con le quali e senza le quali si rimane tali e quali. E, forse, il timido e titubante tentativo lanciato nella mischia dalla Classe Dirigente ausobizantina aveva e ha proprio quest’obiettivo.
Colgo l'occasione, Direttore, nel salutarla cordialmente, di invitarLa per il prossimo autunno a dedicare una serie di puntate del suo Talk alla questione dell'autonomia territoriale. Sarei felice, qualora decidesse di invitarmi, di dibattere con Lei e con i suoi Ospiti la tematica. Con la speranza di trasformare in concetti concreti le quisquilie amministrative che hanno caratterizzato questo scampolo di fine estate sibarita.
Un’ultima osservazione, Direttore, più che altro un invito alla riflessione: Le sembra normale che a distanza di oltre 20 anni dall’aborto di un’idea l’Establishment di questo territorio, comunque rinnovato nel tempo, non riesca partorire una proposta che non sia la copia mal riuscita di un tentativo già miseramente fallito?
Un caro saluto,
Domenico Mazza - Presidente Comitato Magna Graecia
Caro presidente Mazza,
Ho letto attentamente la tua risposta al mio corsivo e ci tengo - con stima e nel rispetto reciproco che ci contraddistingue - a precisare alcuni punti che, a mio avviso, sembrano fondarsi su un'interpretazione forse fin troppo difensivista ed errata rispetto al mio discorso originale. Mi fa piacere che il tema abbia suscitato un dibattito, ma è importante chiarire, ancor più di quanto non l’abbia già fatto, posizioni che mi sembrano chiare e cristalline.
Nel ribadire e difendere la scelta che oggi, più che una nuova provincia occorre rafforzare la proposta dei servizi e dei diritti del nostro territorio, mi preme sottolineare che il focus è far emergere la Sibaritide, in sinergia con le aree circostanti come il Pollino, non attraverso una riorganizzazione amministrativa quale fine a se stessa, ma tramite una presa di coscienza e una riconquista dei diritti che ci spettano.
Riguardo alla tua osservazione sui "52 comuni", il mio punto di partenza non era quello di contrapporli al resto della provincia di Cosenza, ma al contrario di evidenziare un potenziale blocco unitario che possa farsi sentire con maggiore forza sulla scena regionale, rivendicando diritti troppo a lungo sacrificati. La volontà ineludibile – e su questo credo di trovarti d’accordo - è di creare una giusta pressione per l'ottenimento di servizi essenziali che la popolazione merita, senza farne una mera questione numerica o di spazio amministrativo.
Inoltre, il concetto di demografia è una sfida reale, e concordo sul fatto che ciò richiede un approccio ponderato e realistico, ma ridurre il nostro potere potenziale alla semplice mancanza di numeri è un ragionamento debole: troppo matematico per essere realmente nobile. La forza può e deve venire da altre caratteristiche che il nostro territorio deve ritrovare: una su tutte la consapevolezza e la capacità di dare meno valore alla delega. Perché senza questi due elementi essenziali potremmo realizzare anche la Felice Repubblica della Magna Graecia ma non avremmo centrato l’obiettivo. Sempre sudditi resteremmo. E questo è un dato che mi sembra tu stia trascurando.
La proposta di nuove soluzioni accessibili non è un mero esercizio di retorica amministrativa. Dalla sanità all’agricoltura e ai trasporti, sono tanti i settori dove possiamo e dobbiamo migliorare attraverso opportuni meccanismi di pressione e partecipazione democratica. Non sto dicendo che il solo desiderio di avere una provincia diversa risolverebbe automaticamente ogni problematica, ma che una visione chiara e realistica dei nostri diritti e delle nostre necessità come comunità deve comunque precedere qualunque forma di riorganizzazione territoriale.
Infine, il miracolo di mutare servizi chiave come quelli sanitari o di trasporto, senza far certo leva su demagogie o utopie, è una sfida ardua, certo, ma imprescindibile. Mi sembra tuttavia che malintesi o preconcetti abbiano forse impedito di cogliere appieno la sostanza del mio discorso, di cui questi parametri sono pilastri portanti. Il problema non è proporre nuove amministrazioni, ma la necessità di un vero rinnovamento infrastrutturale e culturale. È di questo che abbiamo bisogno: di un approccio nuovo, radicato nel territorio e nelle sue necessità odierne, non semplicemente soluzioni superficiali.
Spero che questo chiarimento possa offrire una prospettiva più accurata sul mio pensiero e facilitare un dibattito costruttivo su come rafforzare davvero la capacità di autodeterminazione della nostra regione. Certo, per intenderci e comprenderci, credo bisogna partire da un dato: da questa parte siamo convinti che ogni buona rivoluzione debba partire dal basso perché i meccanismi sistemici dell’imposizione di scelte, fosse anche la perimetrazione di una nuova provincia, non farebbero altro che accentuare quella disaffezione - che oggi c’è - del paese reale verso gli apparati democratici. E prima di tutto bisogna porsi una domanda: cosa vogliono i cittadini? Una nuova provincia o più servizi/diritti? E una cosa non include per forza l’altra!
Cari saluti,
M.L.