La provincia invisibile: non ci può essere Sibaritide senza Pollino
La discussione di queste settimane sembra essere marchiata dal solito stigma persecutorio. Una nuova provincia non serve. Serve, invece, rinnovare l'approccio culturale della politica e di certa intellighenzia per rivendicare diritti e servizi
La discussione su una nuova provincia nella Calabria del nord-est o dell’estensione di quella di Crotone sta mostrando tutte le sue lacune storiche, ideologiche e, purtroppo, anche concettuali.
Ad oggi – lo sappiamo benissimo e nonostante tutto qualcuno continua a ribadire le sue oscenità – sappiamo che i numeri conforterebbero la nascita di una mega provincia compresa tra Rocca Imperiale e Steccato di Cutro (un territorio grande quanto la Liguria!). Ma oltre ai numeri demografici e alla possibilità di dilatare i confini di una provincia già esistente (Crotone) non ci sarebbe null’altro. Il perché è semplicissimo: mancano i servizi di base affinché questa nuova entità istituzionale possa decollare e possa, soprattutto, garantire maggiore efficienza rispetto allo status quo.
La nascita di una provincia con doppio capoluogo è prevista, certo. Ma, come si dice, dalla “grammatica alla pratica c’è il mare in mezzo”. E già, perché a questo punto bisognerebbe chiedersi se, innanzitutto, Crotone sarebbe disposta a condividere i suoi servizi provinciali (Prefettura, Motorizzazione, Questura, Sedi Camerali e uffici di primo livello) con una città (Corigliano-Rossano) che dista 100 km. Anche perché la legge non prevede doppioni o, ancora meno, distaccamenti di alcun tipo. Ma ammesso che i crotonesi fossero disposti a questo, davvero lo Stato sarebbe disposto a sdoppiare o dislocare uffici in un momento storico in cui tutto è rapportato alla razionalizzazione e al contenimento delle spese? Se così fosse, avrebbero riaperto un Tribunale malamente chiuso! O no? Ma ammesso anche che un ufficio rimanesse a Crotone e l’altro venisse spostato a Corigliano-Rossano o che tutto rimanesse a Crotone, davvero è pensabile che un cittadino per disbrigare una pratica si sposti dall’Alto Jonio fino alla città pitagorica? Farebbe prima ad arrivare a Bari, a Napoli o forse anche a Roma! Perché non ci sono strade, non c’è una mobilità efficiente.
Sì, ma i servizi sono accessibili dalla rete. Benissimo, allora a cosa serve una nuova provincia? Ad avere un diritto di prelazione e non più in subordinazione su servizi essenziali come la sanità. E chi lo ha stabilito? Sapete per caso di un ospedale, da Rocca Imperiale a Steccato di Cutro, che funzioni meglio di tutti gli altri che operano in Calabria? Non sembra. Sì, però non dovremmo più sottostare all’ospedale hub di Cosenza ma (forse) avere un ospedale hub tutto nostro a Insiti. E per fare questo serve una nuova provincia? No. Anche perché, provincia o non provincia, il problema vero, reale di cui solo alcuni parlano, non sono i confini o la giurisdizione. Il vero problema è la nostra rappresentanza politica. La cui cultura e capacità programmatica e di visione e la sua subordinazione appecorata a Cosenza non cambierà nemmeno se a Tarsia alzassimo la Grande Muraglia Cinese.
Ed è lì, allora, che bisogna battere. Sul rinnovamento della rappresentanza, a tutti i livelli. Ma soprattutto sul cambio della mentalità, sul paradigma culturale che, purtroppo – duole dirlo – non è solo un difetto della nostra rappresentanza istituzionale ma è congenito soprattutto nella cosiddetta intellighenzia della Calabria del nord-est. Tant’è che ancora c’è chi pensa di costruire una nuova provincia – e ne parla convintamente – pensando di poter escludere da questo ragionamento un comprensorio essenziale come quello di Castrovillari, con ragionamenti che sono al limite dell’idiozia. Quasi come se all’ombra del Pollino ordissero strategie per penalizzare Corigliano-Rossano e la Sibaritide… da sbellicarsi dalle risate. Prima Cosenza, oggi Castrovillari! Questa mentalità “paesanotta”, ripiegata su uno stigma persecutorio, non solo fa male a noi stessi ma sicuramente non ci aiuterà a capire le priorità di questo territorio. Anzi, fa l’effetto contrario, rende la discussione vacua, superflua, lontanissima dall’obiettivo.
E allora, se questo territorio vuole davvero ripartire, lo deve fare basandosi sulla sua consapevolezza. Lo diceva quel sindaco visionario che fu Franco Fortunato una ventina d’anni fa. Noi siamo la Sibaritide che, storicamente, è un territorio che si estende dal Metapontino alla Sila greca passando per l’intera Valle del Coscile (non a caso l’antico fiume Sybaris) e quindi del Pollino calabrese. Questo è il nostro ambito d’azione all’interno del quale gravitano 230 mila persone (fino a 40 anni fa erano quasi il doppio). Che non bastano per realizzare una nuova provincia – certamente – ma hanno un numero di rappresentanza istituzionale (52 comuni) che, insieme, possono rivendicare diritti e servizi che alla fine sono quelli che mancano oggi e che mancherebbero anche domani anche in presenza di un nuovo ente sovraordinato autonomo, se quegli stessi diritti e servizi non ce li andiamo a prendere con le unghie e con i denti. E possiamo farlo ora. Possiamo rivendicare una nuova Azienda Sanitaria locale della Sibaritide (con un proprio hub di riferimento); possiamo rivendicare insieme un’amministrazione della giustizia più permeante sul territorio; possiamo chiedere una mobilità più moderna e sicura; possiamo creare un’autorevolezza territoriale che sarebbe anche culturale e di emancipazione rispetto a tutto il resto. Questo serve: rilanciare l’orgoglio Sibarita con unità, concretezza, forza e volontà di difendere i diritti dei cittadini e dei territori. Diversamente di una nuova provincia o di una provincia più allargata non sapremmo proprio che farcene.