Corigliano-Rossano sul Sole 24 Ore: made in Italy e sud profumano di liquirizia
È dedicata alla plurisecolare esperienza imprenditoriale e familiare Amarelli la rubrica Officina Italia del quotidiano. Tradizione e innovazione in prima pagina
CORIGLIANO-ROSSANO - La nobiltà della terra e del lavoro del sud hanno il sapore della liquirizia. È dedicata alla plurisecolare esperienza imprenditoriale e familiare Amarelli la rubrica Officina Italia, la serie di speciali del quotidiano finanziario nazionale che porta il lettore alla scoperta di opifici e fabbriche che hanno saputo aprirsi all’esterno, raccontando del Made in Italy passaggi generazionali, tradizioni ed innovazioni. Corigliano-Rossano e la Calabria sono sulla prima pagina di oggi, giovedì 8 settembre.
«È cambiata la liturgia del produrre - si legge nel servizio di Giuseppe Lupo - si sono ridotti gli intervalli e perfezionate le modalità, ma per gli Amarelli ricavare liquirizia era e rimane un atto di fiducia nei valori della terra e nei principi di un’economia che da queste parti ha assunto un valore etico, come se l’impegno per lo sviluppo del Mezzogiorno passasse attraverso ogni singolo legame parentale. D’altra parte - continua lo speciale di pagina 17 - non si può camminare così a lungo nei secoli senza un’identità familiare ben marcata, privi di quelle ragioni per cui fare gli imprenditori a queste latitudini, ieri come oggi equivale a compiere un atto di testimonianza umana e civile.
Dallo stemma sull’architrave del Palazzo del Quattrocentesco, sede del Museo della Liquirizia Giorgio Amarelli, del Factory Store e dell’Orangerie, ai macchinari di un tempo, passando dal piazzale delle radici alle fasi lente della lavorazione, descrizioni e suggestioni sono minuziose. Le piante dalla chioma piegata somigliano a capelli di donne spettinati dal vento, lunghi e legnosi. Sembrano sculture che non vogliono staccarsi da terra perché proprio là, nella terra si allungano le radici che contengono ogni premessa per arrivare all’oro nero della liquirizia. Non meno di quattro anni esse impiegano per crescere sotto ciascuna pianta. Poi, una volta tagliate ed ammassate sotto un’enorme tettoia, tornano a nutrirsi e a proliferare nelle viscere del sottosuolo.
«C'è da compiere una quantità di passaggi lenti e pazienti - si continua a leggere su Officina Italia - prima di sentire il tintinnio dei chicchi nelle scatolette di latta, che dal 1978 sono diventate l'immagine iconica di questa azienda e fanno la gioia dei collezionisti. Tra materia prima e prodotto finito corre un andamento non lineare. (…) Ciò non fa che confermare la sensazione d'incanto provata all'ingresso del palazzo quattrocentesco, sotto l'architrave dove campeggia lo stemma nobiliare: quella di essere al cospetto di un romanzo corale e mediterraneo, un'epopea familiare, come se produrre liquirizia sulle rive dello Jonio possa vantare una qualche parentela con le procedure del Codex Purpureus Rossanensis (il misterioso manoscritto del VI secolo, arrivato fortunosamente dalla Grecia), perché ogni azione, per quanto facilitata dalle macchine, continua a conservare le allegorie officinali del cibo come aiuto alla salute e si concentra in un esercizio che vive di esclusioni anziché di inclusioni, che salva il poco e getta il troppo, un'esperienza di salvezza del niente grande quanto un'inezia di gusto».