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Il Principato di Rossano nel corso della feudalità dei Ruffo e degli Aragona

9 minuti di lettura

Dopo la prima parte intitolata "Rossano, dai Bizantini ai Borghese", continuiamo il nostro viaggio tra i Feudi della Sila Greca 

Ritornando alla questione feudale va ricordato che Rossano, alla quale obbedivano i Casali di Longobucco e Paludi, ma anche come importante e antica città vescovile, ebbe un compito e un ruolo considerevole nel vasto panorama della feudalità non solo meridionale ma anche nazionale. A titolo esemplificativo non si possono non menzionare le note vicende della ribellione del nobile Antonio Centelles (sec. XV), italiano ma di origini spagnole, uomo privo di scrupoli, soldato di ventura e in cerca di facili guadagni, impaziente di impadronirsi dei suoi feudi, avvalendosi della scomunica del papa e delle preoccupazioni presenti in quel momento nel Regno di Napoli, vicende che coinvolsero il principe di Rossano Marino Marzano e di cui parla nella sua opera Augusto Placanica “Ancora una volta, i protagonisti della prima grande congiura dei baroni furono proprio i signori feudali di altissimo bordo con i quali la stessa famiglia reale era imparentata, da Giovanni Antonio Orsini, principe di Taranto, a Marino Marzano, duca di Sessa e principe di Rossano; ad essi si aggiunse Antonio Centelles”1. 

Rossano fu uno di primi Principati del Mezzogiorno d’Italia. Tra i maggiori casati titolari del Feudo vi furono i Ruffo e i Marzano che ne ebbero il dominio per circa vent’anni dal 1445 al 1464. In seguito questo entrò nei possedimenti feudali degli Sforza che lo amministrarono per un ulteriore ventennio dal 1487 al 1499. Con l’inizio del XVI secolo passò nei possedimenti della famiglia reale d’Aragona che ne mantennero il possesso dal 1499 al 1524). Il Principato passò nuovamente agli Sforza dal 1524 fino al 1559 ed in seguito alla famiglia romana degli Aldobrandini, che per successione femminile lo consegnarono ai Borghese, i quali ne detennero il dominio dal 1681 al 1806, data in cui furono imposti i provvedimenti legislativi, messi in atto da Giuseppe Bonaparte durante il decennio francese nel biennio 1806-1808, con i quali venne abolita la feudalità, conosciuti anche come leggi eversive della feudalità. Periodo in cui Rossano si riappropriò della sua onorabilità rientrando nel suo antico ruolo di Città Regia. Ma vediamo nei dettagli come tutto ciò è avvenuto. 

L’infeudazione di Rossano, secondo le diverse informazioni storiche, ebbe inizio il 7 aprile 1417 quando per volere dell’angioina regina Giovanna II (1371-1435), come Capitanìa, venne riconosciuta a Polissena Ruffo, contessa di Montalto, moglie, nel 1415, di Giacomo de Mailly, Gran Siniscalco del Regno, la quale il 23 ottobre 1418, in seconde nozze si unì in matrimonio con Francesco Sforza, (Rossano, 1418), futuro e 1° duca di Milano, abile comandante, che offriva le proprie prestazioni a favore di non pochi principati. Giovanna II d’Angiò-Durazzo era regina di Napoli essendo succeduta al fratello Ladislao I deceduto senza prole. Con la sua scomparsa si estinsero sia il casato dei d’Angiò-Durazzo ma anche la dinastia degli Angioini. 

Come già ampiamente anticipato, nei precedenti interventi relativi a Bocchigliero, Cariati e seguenti, già pubblicati dalla nostra testata, Polissena Ruffo, contessa di Montalto, figlia primogenita ed erede del conte Carlo, andò ad aggiungere la Capitanìa di Rossano al già vasto patrimonio avuto sempre con privilegio del 7 maggio 1407, con il quale gli venne confermato l’ufficio di capitano delle sue terre di Cariati, con Caloveto, Bocchigliero, Campana, Scala, Verzino, Cerenzia, Caccuri, Rocca di Neto, Casabona e San Morello, nonché dello Stato di Montalto e delle sue baronie di Mesiano, Briatico e Mottafilocastro, giusta nota n. 17 di p. 44, del Pellicano Castagna. 

Polissena morì a Cariati il 17 luglio 1420 e a succedergli de jure fu la sorella Covella Ruffo, contessa di Montalto maritata col duca di Sessa, Giovanni Antonio Marzano. Costei, orfana del destino angioino, intraprese nuove relazioni con re Alfonso d’Aragona. Morta anche Covella nell’ottobre del 1445 tutte le terre in suo possesso passarono come eredità al figlio Marino Marzano, duca di Sessa, sulle quali ebbe confermato, da re Alfonso, il privilegio anche sui diversi titoli compreso quello di principe di Rossano. Intanto Marino sposava Eleonora, figlia di Alfonso d’Aragona e sorellastra di Ferrante I, divenendo, pertanto, genero del primo e cognato del secondo. Deceduto l’aragonese Alfonso, Ferrante I successe al padre sul trono del Regno di Napoli. Da questo momento in poi, tra i cognati si aprì una incredibile conflittualità dovuta ai citati fatti legati alle congiure e alle ragioni personali, di cui ho diffusamente parlato nei precedenti contributi, in particolare in quello di Bocchigliero, che sfociò con l’arresto del Marzano, la sua morte e la confisca dei suoi possedimenti che così passarono al Demanio Regio. Su tale aspetto alcune nuove informazioni che arrivano dal Pellicano Castagna portano nuova luce sulle vicende. Al riguardo ecco quanto il noto storico riporta: «Morto il primo Aragonese, il Marzano si ribellò al suo successore Ferrante I (di cui era cognato) e che tentò di fare uccidere durante un loro incontro (CAMPANILE, p. 286). Nonostante ciò fu perdonato dal Sovrano che, per rafforzarlo nella sua fedeltà, promise in sposa al suo unico figlio maschio Giovan Battista la propria figlia Beatrice (Ibidem). Ma invano: ché il Marzano tornò tramare contro il re; onde questi, fattolo arrestare nel 1464, ne dispose la carcerazione in Castelnuovo ove il Marzano rimase ristretto per trentuno anni, fino a quando, cioè, nel 1495, il re Alfonso II lo fece trasferire ad Ischia ove pare che morisse ucciso da uno schiavo (DELLA MARRA, Discorsi…, p. 255)»2.       

Rossano passato al Regio demanio vi restò fino al 1487, anno in cui lo stesso re Ferrante lo concesse a Ludovico Maria Sforza detto il Moro, quale riconoscimento all’appoggio datogli in occasione della repressione della congiura dei baroni manifestatasi tra il 1485 e il 1487, ricompensa che gli permise di divenire così il nuovo principe di Rossano. Ludovico era figlio di Francesco Sforza, futuro duca di Milano e della sua seconda moglie Bianca Maria Visconti. Si ricorda al riguardo che Francesco fu marito di seconde nozze di Polissena Ruffo con la quale non ebbe prole. 

Le vicende politiche del tempo, che portarono a un rafforzamento del potere di Ludovico il Moro a discapito del nipote Gian Galeazzo Maria Sforza (20.06.1469-21.10.1494), duca di Milano, figlio di Galeazzo Maria Sforza, anch’egli duca di Milano e Bona di Savoia, nonché marito di Isabella d’Aragona, generarono uno sfilacciamento dei rapporti tra Ludovico e Maria d’Aragona, ma anche tra i due rispettivi stati: il Ducato di Milano e il Principato di Rossano, ragione per la quale Isabella chiese l’intervento del padre re Alfonso II. Come giusta risposta Ludovico, secondo quanto ci tramanda la storia, si rese artefice dell’avvelenamento del nipote prendendone il posto come duca di Milano e sul piano strategico politico e militare incoraggiò contro Ferrante II, fratello di Isabella, la discesa di Carlo VIII. 

Come contromossa, volta a neutralizzare le suddette conseguenze, Ferrante fece confiscare le diverse entrate fiscali relative agli stati governati da Ludovico il Moro tra cui quelle del Ducato di Bari, del Principato di Rossano e della Contea di Borrello. Un provvedimento che durò ben poco considerato che lo stesso Carlo VIII riabilitò il Moro nei suoi possedimenti. Il tentativo messo in atto, però, a causa delle molte resistenze dimostrate e gli effetti sfavorevoli che avrebbero potuto arrecare danno proprio alla figura di Carlo VIII, si concluse con la ritirata dello stesso Carlo che, precipitosamente, abbandonando l’Italia, ritornò in Francia. Il Moro continuò a rimanere alla guida del Principato di Rossano e dei Feudi ad esso legati quali quelli di Longobucco e Paludi. 

Le vicende politiche del momento, ancora una volta cambiarono improvvisamente con la venuta in Italia di Luigi XII. Una presenza che complicò le cose per il Ducato di Milano, occupato in parte a occidente, ragione per la quale il Moro riparò in Germania allontanandosi da Milano, ma successivamente fatto prigioniero dal re di Francia dove rinchiuso in carcere morì nel maggio del 1508. Prima di tale fuga, però, Ludovico consegnò tutti i suoi possedimenti feudali presenti nel Regno di Napoli, compreso il Principato di Rossano, alla nipote Isabella d’Aragona, duchessa di Milano e Bari e principessa di Rossano, per la cifra di 100.000 ducati, pare come motivazione, a riequilibrio delle sue doti. Un trasferimento secondo molti al limite della legittimità per una serie di motivi che non sto ad elencare che, tuttavia, non impedì ad Isabella di entrare in possesso delle terre di Rossano, di Borrello e di Bari il 24 aprile del 1500. Il consolidamento dei possedimenti, però, arrivò nel luglio del 1501 per merito di re Federico, che constatata la impossibilità di Ludovico il Moro di nuocere ad eventuali provvedimenti assunti in favore di Isabella, firmava regolare concessione delle suddette Terre retrodatando il giorno apponendo sulla medesima la data del 10 aprile 1500.

Entrata in possesso dei suoi possedimenti, Isabella nella circostanza del conflitto franco-spagnolo si avvicinò pienamente a quelle che erano le linee del governo spagnolo entrando così nelle grazie di Ferdinando detto il Cattolico, re di Sicilia e di Napoli col nome di Ferdinando III, che non fece mancare il suo riconoscimento, alla principessa di Rossano, attraverso un diploma di conferma della concessione sulle Terre di cui sopra datato 10 ottobre 1502. Ulteriore concessione sul Principato di Rossano Isabella d’Aragona la ebbe alla morte di Ferdinando, in data 30 agosto 1516, da parte della figlia del Cattolico, regina Giovanna, popolare come Giovanna la Pazza, moglie di Filippo il Bello, e ancora in seguito da suo figlio Carlo V d’Asburgo. 

La principessa Isabella, figlia di Alfonso d’Aragona, morì a Napoli l’11 febbraio 1524, a succederle ereditandone il vasto patrimonio con i diversi titoli, fu la figlia Bona Sforza d’Aragona, avuta dal matrimonio con Gian Galeazzo Maria Sforza. La nuova principessa di Rossano era anche regina di Polonia, avendo questa sposato Sigismondo I, granduchessa di Lituania e duchessa di Bari. I trasferimenti feudali ereditati dalla madre non tardarono a produrre strascichi giudiziari per via delle contestazioni avanzate da Francesco Sforza, secondogenito del Moro, ritenendoli illegittimi poiché privi, al tempo di Isabella, del regolare Regio Assenso. Tale contesa registrò l’intervento personale di Carlo V, che in prima istanza ordinò la confisca di tutti gli stati. A tale provvedimento fece seguito la disapprovazione e la ferma opposizione di Bona Sforza, cui seguì come risposta una disposizione che prevedeva il dissequestro dei suddetti Feudi e alla quale fece seguito anche un decreto della Regia Camera, ragione per la quale, il 24 giugno 1525, Bona Sforza rientrava definitivamente in possesso dei suoi stati con la Significatoria di Relevio riguardante Rossano e Longobucco. 

Entratane definitivamente in possesso, nel 1526, la principessa confermò a Rossano i suoi privilegi. Malgrado ciò, l’anno successivo, la vessatoria imposizione dei tributi portò la Città verso l’insurrezione popolare. Intanto, la conquista del Ducato di Milano da parte di Francesco Sforza e la conseguente cessione dei suoi Feudi, presenti nel Regno di Napoli, all’Imperatore aprì nuovamente la contesa sui territori di Bona Sforza compreso il Principato di Rossano per le note questioni sulla pre-datazione del privilegio riconosciuta a suo tempo a Isabella d’Aragona da parte di re Federico. 

Le parti in causa questa volta, però, erano l’Imperatore e Bona Sforza, le quali per chiudere la controversia firmarono un compromesso con il quale i possedimenti feudali potevano continuare a rimanere nelle disponibilità della principessa Bona Sforza, fino alla sua morte, per poi ritornare nelle disponibilità dell’Imperatore. Pertanto, dopo la scomparsa di re Sigismondo I (1548), marito di Bona Sforza e la sua morte avvenuta in Bari il 19 novembre 1557, il Principato di Rossano con le Terre amministrate tornarono nelle disponibilità del Demanio Regio rimanendovi per un lungo periodo, durante il quale non mancarono le rivendicazioni e le contese da parte del figlio di Bona Sforza, Sigismondo II Augusto per vedersi assegnata l’eredità della madre. Non mancarono, inoltre, alcuni tentativi di vendita non andati a buon fine come quello di Marco Antonio Giudice, speculatore finanziario genovese, le cui informazioni ci arrivano dalle note di M. Pellicano Castagna che così tramanda: «[…] Marco Antonio Giudice, figlio di Niccolò, imprenditore genovese trasferitosi a Napoli nel 1548, e di Maria Montenegro, si diede anch’egli alle speculazioni finanziarie inclinando soprattutto verso i prestiti alla Corona che effettuò per somme, che andava incettando da più modesti capitalisti, più che considerevoli (circa 4 milioni di ducati) così segnalandosi come uno dei finanziatori della guerra di Fiandra. […] Siffattamente il 16 settembre 1601 acquistò per D. 85.000 Voghera, in Lombardia, col titolo di marchese […] il 18 marzo 1601, Boscotrecase in Terra di Lavoro per D. 30.000, ed il 4 settembre dello stesso anno (nonostante i pareri contrari del Viceré e dei Consiglieri del Collaterale: CARACCIOLO, Il Regno…, p. 542) Rossano e Longobucco - «habentes nos et possidentes legitime», precisava il re nel relativo contratto (Ibidem, p. 335) – con titolo di marchese su quest’ultima terra per D. 135.000 (COLAPIETRA, Dal Magnanimo…,II, p. 188). E poiché il Regio Assenso necessario per la validità della vendita tardava a giungere, la madre del Giudice «en cabeça» della quale Rossano e Longobucco erano state comprate, l’8 dicembre 1601 si immise di fatto nel Feudo (Ibidem: GRADILONE, p. 413). Tutto ciò non valse, però, ad evitare quella bancarotta a cagione della quale Marco Antonio Giudice fu arrestato e quindi impiccato a Valladolid il 27 novembre 1604 (COLAPIETRA, Dal Magnanimo…, II, p. 401). Per effetto di ciò Rossano con la Terra di Longobucco ed il Casale di Paludi tornò ancora una volta nel Regio demanio. […]»3. (continua)    

BIBLIOGRAFIA
  A. PLACANICA, Storia della Calabria: dall’antichità ai giorni nostri, Donzelli editore, Roma 1959, p 158. 
2-3 M. PELLICANO CASTAGNA, Storia dei Feudi…, Vol. IV, P-R, pp. 317,  325.
 Ulteriori informazioni e il testo completo lo trovi  su:
Franco Emilio CARLINO, La Sila Greca. Tra Storia e Feudalità. I feudi del suo territorio, conSenso publishing, Rossano 2023
 

Franco Emilio Carlino
Autore: Franco Emilio Carlino

Nasce nel 1950 a Mandatoriccio. Storico e documentarista è componente dell’Università Popolare di Rossano, socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria e socio corrispondente Accademia Cosentina. Numerosi i saggi dedicati a Mandatoriccio e a Rossano. Docente di Ed. Tecnica nella Scuola Media si impegna negli OO. CC. della Scuola ricoprendo la carica di Presidente del Distretto Scolastico n° 26 di Rossano e di componente nella Giunta Esecutiva. del Cons. Scol. Provinciale di Cosenza. Iscritto all’UCIIM svolge la funzione di Presidente della Sez. di Mirto-Rossano e di Presidente Provinciale di Cosenza, fondando le Sezioni di: Cassano, S.Marco Argentano e Lungro. Collabora con numerose testate, locali e nazionali occupandosi di temi legati alla scuola. Oggi in quiescenza coltiva la passione della ricerca storica e genealogica e si dedica allo studio delle tradizioni facendo ricorso anche alla terminologia dialettale, ulteriore fonte per la ricerca demologica e linguistica