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Corigliano Calabro nella storia della feudalità

8 minuti di lettura

L’origine del borgo, da noi oggi conosciuto, è fatta risalire al 977 d.C., malgrado le prime attestazioni inconfutabili ci riconducono all’anno 1000, quando la Calabria venne conquistata dai Normanni, la cui principale dimostrazione rimane la presenza del castello feudale eretto per desiderio di Roberto il Guiscardo. Si tratta di un borgo che sorge alle pendici della Sila Greca a 200 m. sul livello del mare, con un dislivello altimetrico compreso tra la Pianura di Sibari e i rigogliosi boschi della Presila, nel cui contesto il maniero sin dall’inizio divenne il punto principale di riferimento per la difesa dagli attacchi nemici, in particolare in quel periodo quelli provenienti dalla vicina Rossano, in mano ai Bizantini. Inoltre, il castello diventò l’elemento architettonico dominante, dal quale, tra il 900 e 1100, si diramarono i primi quartieri che crearono urbanisticamente l’organizzazione della città. Documentazione attendibile, sembra provenga da alcuni suoi casali oggi pienamente integrati nel tessuto urbano della città quali: Apollinara e Santo Mauro.

Anche sul nome del luogo non sono mancati nel tempo intensi confronti lasciando però ancora confusa la radice del nome portato dalla città. Sono molti, infatti, a concordare che il toponimo dell’attuale Corigliano possa derivare dal latino Coriolanum cioè dal nome di Caio Marzio Coriolano, mentre non mancano coloro che ne determinano la derivazione dal greco Chorion Elaion ossia luogo degli ulivi e quindi dell’olio. Sul tema del toponimo ne parla, con dovizia di particolari, l’autore del luogo G. Amato nel 3° cap. della sua Crono-istoria di Corigliano Calabro.

Alla dominazione normanna seguì quella sveva. Fu un periodo di forte progresso economico scaturito dalla proliferazione di non poche attività agricole, artigiane e commerciali che determinarono anche un forte incremento demografico del borgo, con la nascita di nuove comunità e quindi nuovi villaggi anche fuori le mura del fortilizio normanno, con le abitazioni che presero a fiorire intorno al maniero, prolungandosi in maniera consistente intorno ai suoi fianchi fino a raggiungere il litorale, emblema della vita sociale ed economica della città e della presenza del feudatario. Era il periodo in cui il territorio partecipava impotente anche al proliferare di nuovi feudi, rafforzando così il potere dei nuovi signori. Corigliano non era immune al dilagare di tale fenomeno, tanto che tra il XIII e il XV secolo si poté assistere all’avvicendarsi di alcuni importanti titolari del feudo, tra cui un certo Andrea Cicala, figlio di Paolo conte di Alife e Golisano. Fedelissimo di Federico II, «quale ricompensa per i servigi resi alla Corona, l'imperatore gli concesse, nella primavera del 1242, i castelli di Acri e di Corigliano, nonché altri feudi in Calabria. […] Dopo la deposizione di Federico II da parte di Innocenzo IV durante il concilio di Lione (1245), la fedeltà imperiale di A. cominciò a vacillare. Si lasciò così convincere, nel 1246, a partecipare ‒ insieme a Tebaldo Francesco, Guglielmo di Sanseverino ed altri ‒ alla congiura di Capaccio contro l'imperatore svevo. Dopo la scoperta della cospirazione, aiutò i congiurati aprendo loro le porte del castello di Capaccio, ritenuto fino ad allora inespugnabile, dove i ribelli resistettero fino al 17 luglio 1246, quando il castello fu conquistato dalle truppe imperiali» (1).

L’ascesa degli Angioini portò i francesi a insediarsi come nuovi feudatari di Corigliano rimanendovi sino alla fine del secolo XIII. Infatti a partire dal 1269, secondo le note di M. Pellicano Castagna, come titolare del feudo si ha memoria di un certo Giordano De Lille detto anche De Villa, concessione fatta da Carlo V in ricompensa dei suoi servigi (2). Questi vi rimase fino al 1294, fino alla sospensione del suo mandato da parte del re, quando nel feudo gli subentrò come signore di Corigliano il nobile romano Stefano Colonna (3).

Il 1300 fu il secolo in cui a governare la contea Corigliano fu la famiglia dei Sangineto. Sul finire dello stesso, nel 1299, già signore di Sangineto e Belvedere, divenne feudatario col titolo di 1° conte di Corigliano, Ruggero Sangineto. Prese il suo posto il figlio Gerardo di Sangineto, primogenito e secondo conte di Corigliano fino al 1317, al quale subentrò, come terzo conte di Corigliano, Ruggero II di Sangineto governando la città fino al 1343, anno della sua morte. Gli succedette Roberto Sanseverino, già conte di Terlizzi, col titolo di quarto conte di Corigliano fino al 1361 grazie al matrimonio che Roberto aveva contratto con Bionda di Sangineto, sorella di Ruggero. Dopo la breve parentesi ritornarono come feudatari di Corigliano nuovamente i Sangineto con Filippo II (conosciuto come Filippello) a cui, secondo le notizie del Pellicano Castagna, seguì Giovanni di Sangineto (detto Giovannello) e Margherita di Sangineto, sorella di Giovanni che sposò Venceslao Sanseverino.

Corigliano, come del resto il territorio circostante, nel corso del XIV secolo, risentì delle non poche difficoltà economiche e sociali avvertite in tutto il Regno di Napoli che incisero notevolmente soprattutto sull’incremento demografico. Ci si avviò verso prospettive non rosee e alle porte si presentò il nuovo secolo con la ribellione dei Conti di Corigliano a Re Carlo III della quale ci erudisce M. Pellicano Castagna affermando che la rivolta «provocò la confisca del feudo e l’assegnazione del medesimo a Giovanna Sanseverino» (4) decretando di fatto la fine del dominio della famiglia Sangineto e l’ingresso dei Sanseverino, principi di Bisignano, come feudatari della città, ormai nuovi padroni di vasti territori del Meridione d’Italia che ebbero il governo di Corigliano fino alla morte di Niccolò Bernardino, principe di Bisignano, ultimo dei Sanseverino.

Giovanna Sanseverino sposando Carlo 1° Ruffo, conte di Montalto portò i possedimenti feudali in casa Ruffo. A Carlo subentrò il figlio Antonio e a questi la figlia Covella Ruffo che sposando, a sua volta, Antonio Ruggero Sanseverino ricondusse i feudi di famiglia nuovamente ai Sanseverino di Bisignano. A Ruggero subentrerà il figlio Antonio e a questi suo figlio Luca Sanseverino, principe di Bisignano, con il titolo di conte di Corigliano rimanendo in carica fino al 1471.

Intanto nella seconda metà del XV secolo Corigliano ricevette la visita di S. Francesco, futuro santo paolano   e fondatore dell’Ordine dei Minimi, il quale oltre a costruire un convento per il suo ordine si impegnò, secondo le fonti riportate, alla costruzione dell’incantevole struttura dell’acquedotto, noto come “Ponte Canale”, a tre arcate, di cui una non visibile poiché sotto terra, necessario a portare «l’acqua nelle tre piazze principali del paese: Giudecca, Fondaco e Muro Rotto» (5), che si può ammirare percorrendo via Roma, principale arteria della città.   

A Luca Sanseverino subentrò il figlio Geronimo Sanseverino che come ci ricorda ancora il Pellicano Castagna si lasciò coinvolgere, insieme ad altri del suo casato, nella famosa congiura dei baroni conclusasi con il suo arresto. Fu rinchiuso nelle carceri di Castelnuovo dove rimase fino alla morte. Il re aragonese fu inesorabile in quanto decretò il passaggio di Corigliano nelle mani dell’amministrazione regia, affidata al capitano Gio. Antonio Cicala. L’incerta condizione si trascinò avanti fino al 1495 anno in cui Bernardino Sanseverino, 3° principe di Bisignano, duca di San Marco, primogenito di Geronimo riuscì a risollevare le fortune della sua famiglia rientrando nel Regno a seguito della discesa di Carlo VIII da cui con privilegio del 1495, ebbe restituiti i feudi e titoli già posseduti dal padre e quindi anche la contea di Corigliano (6).

Il nuovo secolo si caratterizzò economicamente per il rilancio dell’agricoltura che beneficiò dell’incremento produttivo dei nuovi terreni, ma soprattutto per alcuni interventi urbanistici realizzati intorno al perimetro del maniero e per la messa in sicurezza delle coste e della città sottoposta ai continui attacchi della pirateria.   

Uscito dalla scena Carlo VIII, Bernardino rientrò nell’orbita del partito aragonese dal quale ottenne il provvedimento di conferma dei possedimenti di famiglia da parte di Ferrante II, da Federico d’Aragona ed in ultimo nel 1506, con la sua reintegrazione, anche da Ferdinando il Cattolico.

Alla sua morte gli subentrò il figlio, Pietro Antonio Sanseverino, feudatario delle terre di Corigliano, Santo Mauro e Maurella in Corigliano detenendone il possesso fino al 1559. Fu proprietario del Castello di San Mauro nei pressi dell’attuale contrada di Cantinella, nel quale in seguito il principe Pietro Antonio con la moglie Giulia Orsini poterono accogliere Carlo V, re di Spagna, di passaggio al suo rientro dopo l’espugnazione di Tunisi e alcune sue esplorazioni cosentine tra cui la visita a Carpanzano (7). Era lo stesso imperatore che nel 1533 decorò di dignità militare Alfonso Toscano detto Tusco (8). A succedergli, fino al 1606, fu poi suo figlio Nicolò Bernardino Sanseverino col titolo di conte di Corigliano, al quale subentrerà Giulia Orsini, figlia di Antonio, V duca di Gravina, e Felicia Sanseverino, nipote di Nicolò Berardino.

Tra le torri di guardia messe in essere durante il periodo dei Sanseverino vi era anche la Torre del Cupo, una struttura fortificata di avvistamento e di difesa della costa ubicata alla marina nella popolosa frazione di Schiavonea ed oggi interessante edificio storico.

Nel 1604 un ordine reale disponeva la vendita dei possedimenti feudali dei Sanseverino lasciando però fuori Corigliano da possibili alienazioni. Tuttavia nel 1616, sempre secondo le fonti del Pellicano Castagna, il feudo venne acquistato da un certo Antonio Capece per conto dei Saluzzo e successivamente con regio Assenso del 5 gennaio 1633 passò a Leone Parisio, considerato però un prestanome di Giacomo Saluzzo, banchiere e patrizio genovese, al quale qualche anno dopo, per la precisione nel 1638, cedette la baronia di Corigliano con i rispettivi casali di S. Giorgio, Vaccarizzo e Santo Mauro. Pertanto, di fatto, Giacomo Saluzzo, presidente della "Regia Camera della Sommaria", divenne signore di Corigliano. Allo stesso, dopo la sua morte, gli venne concesso il titolo di duca e a succedergli fu il figlio Agostino Saluzzo che rimase in carica, col titolo di duca, fino al 1700.

In tale periodo la città sarà interessata da un consistente ampliamento urbanistico del suo territorio, soprattutto orientato verso la nascita dei nuovi rioni di S. Francesco e Sant’Antonio, anche se nel corso del secolo il Regno di Napoli risentirà di una grave crisi economica e sociale con ripercussioni principalmente sul potenziale incremento demografico. Le cause sono da ricercare come sempre nelle ristrettezze economiche e nelle ricorrenti diffusioni di alcune epidemie tra cui la peste e la malaria, quest’ultima dovuta all’abbandono delle terre che, non venendo lavorate e coltivate, si trasformarono in estese zone paludose. Più tardi la città sarà alimentata da nuovo ossigeno fornito dai Saluzzo che tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700, realizzarono per Corigliano non poche opere tra cui la bonifica e disboscamento del territorio creando le condizioni per un aumento considerevole dei terreni riservati pronti ad essere messi a coltura.

Ad Agostino Saluzzo, non avendo più prole, considerato che il suo unico figlio Giacomo morì prima di lui, a succedergli come secondo duca di Corigliano fu il nipote Agostino Saluzzo juniore. I Saluzzo saranno ancora presenti a Corigliano con Giacomo, 3° duca, (1747-1780); Agostino, 4° duca, (1782-1873); e Giacomo, 5° duca, (1784-1819). Quest’ultimo fu l’ultimo feudatario colpito dalle leggi eversive emanate dai francesi, mentre, nei soli titoli nobiliari seguirono ancora Filippo, 6° duca; Alfonso, 7° duca e Filippo, 8° duca di Corigliano.          

 

Bibliografia

1 Hubert Houben Federiciana 2005, Andrea Cicala in Treccani enciclopedia.

2 M. Pellicano Castagna, Storia dei Feudi e dei Titoli nobiliari della Calabria, vol. II CAS – IS, Editrice CBC, Catanzaro 1996, p. 144.

3 Profilo storico Corigliano in scheda città http://db.histantartsi.eu/web/rest/Istituzioni/48.

4 M. Pellicano Castagna, Storia dei Feudi e dei Titoli nobiliari della Calabria, vol. II CAS – IS, Editrice CBC, Catanzaro 1996, p. 147.

5 La storia di Corigliano Calabro. Dalla fondazione ad oggi in https://www.prolocorossano.it/la-storia-di-corigliano-calabro/

6 Cfr. M. Pellicano Castagna, Storia dei Feudi e dei Titoli nobiliari della Calabria, vol. I A – CAR, Frama Sud, Chiaravalle Centrale (CZ) 1984, pp. 221-227.

7 Franco Emilio Carlino, Storia di un Territorio – Il Reventino – Savuto, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza 2020, p. 57

8 Franco Emilio Carlino, Storia di un Feudo, Imago Artis Edizioni, Rossano 20201, p. 226.

(fonte foto il pendolo)

Franco Emilio Carlino
Autore: Franco Emilio Carlino

Nasce nel 1950 a Mandatoriccio. Storico e documentarista è componente dell’Università Popolare di Rossano, socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria e socio corrispondente Accademia Cosentina. Numerosi i saggi dedicati a Mandatoriccio e a Rossano. Docente di Ed. Tecnica nella Scuola Media si impegna negli OO. CC. della Scuola ricoprendo la carica di Presidente del Distretto Scolastico n° 26 di Rossano e di componente nella Giunta Esecutiva. del Cons. Scol. Provinciale di Cosenza. Iscritto all’UCIIM svolge la funzione di Presidente della Sez. di Mirto-Rossano e di Presidente Provinciale di Cosenza, fondando le Sezioni di: Cassano, S.Marco Argentano e Lungro. Collabora con numerose testate, locali e nazionali occupandosi di temi legati alla scuola. Oggi in quiescenza coltiva la passione della ricerca storica e genealogica e si dedica allo studio delle tradizioni facendo ricorso anche alla terminologia dialettale, ulteriore fonte per la ricerca demologica e linguistica