A Campana c’è una porta… per l’Eternità
Ogni “porta” è avvolta dal mistero, perché è simbolo: rappresenta un limite, una soglia, un confine attraversabile. Varcarla conduce sempre a un cambiamento
CAMPANA – Ogni “porta” è prima di tutto un simbolo. Essa rappresenta un limite, una soglia, un confine attraversabile; al contempo separa e unisce, è l’inizio di qualcosa e la fine di qualcosa altro. Varcare una soglia rappresenta comunque un cambiamento ed è di per sé un rito di passaggio.
Pensate: ogni volta che vi trovate dinanzi a una porta il vostro atteggiamento muta. Potete trovarla aperta, ma vi sentite comunque in dovere di bussare. Potete sbatterla con foga dopo una lite, quasi a simboleggiare la chiusura violenta di una discussione e il non voler trovare un accordo. Potete attraversarla con riverenza e rispetto, quando vi accingete a entrare in un luogo sacro.
Non stupisce, pertanto, che la “porta” conservi un’aura di mistero e le si attribuisca qualche potere sovrannaturale.
È il caso della porta della Trinità di Campana, piccolo paesino dell’entroterra calabrese conosciuto per “l’Elefante di pietra”. Questa era una delle cinque porte urbiche della cinta muraria medievale che consentivano l’accesso al borgo.
La porta è situata in cima ad una stradina selciata, tortuosa e a tratti ripida detta “Erte” o “Iartu” la quale conduce dal fondo valle, dove scorre il fiume Nicà fino alla collina sulla quale sorge il centro storico. La porta deve il suo nome ad una chiesetta dedicata alla Santissima Trinità che si ergeva proprio nei pressi della cinta muraria.
Nel gergo popolare spesso la porta non viene chiamata della Trinità, ma cambia nome in porta dell’Eternità. Questo appellativo potrebbe derivare da una scorretta pronuncia del nome, oppure potrebbe essere legato a una leggenda popolare poco conosciuta e tramandata in forma orale, secondo la quale chiunque giunga dalla valle e attraversi la soglia della porta dell’Eternità “conquisti” una vita longeva.
“All’Iartu e d’Eternità, chine ci passe arrive a cent’anni” (chiunque attraversi la porta raggiungerà i cento anni). Un passaggio ben augurale, dunque. Benché non ci siano prove che confermino questa tesi… se fossi in voi, almeno una volta nella vita oltrepasserei quella porta, magari con il naso all’insù immaginando l’arco a tutto sesto in pietra ormai perduto.
(foto di Carmine F. Petrungaro)