Michele, l’infermiere rossanese che ha scelto di essere in prima linea per combattere il covid
Quando hanno aperto il reparto covid a Rossano lui non ha esitato un attimo: «Anche io avevo paura, ma bisognava fare qualcosa. Era il momento di agire»
CORIGLIANO-ROSSANO – Abbiamo tutti vissuto un anno particolare. Ma ancor di più lo è stato per chi, come Michele, si è ritrovato in prima linea, faccia a faccia a combattere la guerra contro il sars-cov2.
Il 30 ottobre è stato aperto il reparto covid nell’Ospedale Nicola Giannettasio di Corigliano-Rossano. Michele non ha esitato neppure un attimo a proporsi lì come referente infermieristico: «Appena è uscito il bando interno per attività di coordinamento nel nuovo reparto, ho partecipato. Anche io avevo paura, ma bisognava far qualcosa. La Calabria stava per affrontare la sua vera prima ondata, ne eravamo già consapevoli. Era il momento di agire».
«Paradossalmente – spiega - è stata proprio la situazione sempre più critica che ha spinto me, gli altri infermieri, i medici e gli operatori sanitari a dare il massimo. In quel periodo abbiamo raggiunto il picco di straordinari. Alcuni addirittura 75 ore. Ma quando sei in emergenza, non guardi sicuramente l’orologio».
«In questo reparto ti rendi conto che il rapporto con i pazienti è ancora più forte, tanto da superare le barriere dei presidi medici usati per impedire il contagio».
Riuscire a percepire i sorrisi al di là delle mascherine, a sentire il calore di una carezza nonostante i guanti, sentirsi stretti in un abbraccio malgrado le distanze di sicurezza. Un mondo di legami autentici che si creano nonostante tutti i muri che questo virus ci ha costretto ad erigere.
Anche le cose più semplici, assumono un significato più grande e prezioso: «Era il compleanno di una paziente – ci racconta. Quel giorno compiva cinquantacinque anni e io lo sapevo perché avevo letto la sua data di nascita sulla cartella medica. Non aveva con sé il telefono, le ho dato gli auguri e le ho proposto di fare una videochiamata alla sua famiglia con il mio cellulare. Dopo la telefonata siamo scoppiati entrambi a piangere. Siamo stati entrambi travolti da qualcosa di profondo, unico e vero. Qualcosa che chi non lo vive non riesce a capirlo fino in fondo».
170 sono stati i pazienti covid fino ad ora incontrati sul suo percorso, «ognuno di loro, per un motivo o l’altro ti resta impresso nella mente. Perché per loro rappresenti il mondo, l’unico contatto umano, una breccia nel muro della solitudine, un collegamento con l’esterno».
Michele è consapevole che la situazione è ancora complicata, e si appella al buon senso di ogni cittadino: «Sembra che la fase più critica sia alle spalle, ma non è il momento di abbassare la guardia. Chi vuole darci una mano in questa guerra deve continuare a prestare attenzione e vaccinarsi».
Da questa situazione possiamo uscirne solo se remiamo tutti assieme, tutti nella stessa direzione.