Si rinnova il rito delle "Congreghe" accompagnate dal suono delle "tocte"
La settimana Santa rappresenta l’evento più misterioso della liturgia cristiana. La rievocazione della nostra tradizione religiosa ha come obiettivo di mostrare alle nuove generazioni i valori forti e autentici della storia locale
di Martino Rizzo
In una teca del Museo di Arte Sacra Beato Angelico di Vicchio, paese natale di Giotto nel Mugello, è possibile ammirare una “tocchita” del XIX secolo recuperata in una chiesina dei dintorni.
La tocchita chiamata in italiano raganella oppure crotalo, crepitacolo o nei vari dialetti tricchetracche, battola, cantarana, troccole e in tanti altri modi, era uno strumento liturgico in legno che veniva usato nelle funzioni religiose della Settimana Santa in luogo delle campane e dei campanelli. Infatti durante la Settimana Santa, dal giovedì al sabato, le campane dovevano tacere, addirittura venivano legate affinché non suonassero e questo vincolo aveva un grande significato. Innanzitutto religioso per il lutto che viveva la Chiesa in quei giorni, ma anche sociale in un’epoca in cui le campane erano anche una voce importante di una comunità che scandiva e ricordava i momenti significativi della vita cittadina. E così al posto delle campane venivano usate le raganelle, di vario formato, con diverse strutture e meccanismi, ma assolutamente costruite in legno. Insomma metallo, ferro, no, legno sì e a tal proposito in provincia di Enna si dice che nel giorno del Venerdì Santo «è di lignu la campana».
Angelo Frigerio, conduttore radiofonico della Svizzera italiana raccontava che nel Ticino «la Pasqua per noi ragazzi costituiva anzitutto un'occasione privilegiata per radunarsi in gruppo e gioiosamente percorrere le stradette del nucleo muniti di solide raganelle costruite artigianalmente, poiché in quei giorni, ricordando la passione di Cristo, le campane rimanevano mute». E aggiungeva che le raganelle erano «costruite con legno di castagno e con gli ingranaggi, o rotelle, e le linguette ricavate dal legno di corniolo o di bossolo».
Il professor Agostino Vendramin, già assessore alla cultura del comune di Istrana, in provincia di Treviso, riferisce della raganella quale «strumento di legno, che faceva un gran fragore nella notte del Venerdì Santo».
A Leonessa in provincia di Rieti la tocchita prendeva il nome di “tanavella” e anche qui veniva usata nei periodi in cui le campane erano "legate" e non potevano suonare, come ad esempio la quaresima, per avvisare i fedeli dell'imminenza delle funzioni religiose. E l’incarico di assolvere al compito di azionarle era demandato ai ragazzini del paese ai quali faceva oltremodo piacere poter fare una confusione autorizzata.
In Puglia, a Canosa, il prof. Di Nunno racconta che nelle stesse occasioni viene utilizzata la troccola, una tavoletta di legno con delle maniglie di ferro che ruotando in senso alternato, sbattendo su chiodi di ferro infissi nel legno, produce un suono stridente, un crepitio, che rievoca i colpi di ferro sui chiodi infissi nel legno sacro della Croce di Gesù, "quando si fece buio su tutta la terra… e la terra si scosse" (Matteo, cap. 27, v. 45 e 51).
Essendo la tocchita legata in modo inscindibile ai riti della religione cattolica si ritrova nelle nazioni dove tale religione è diffusa. In Spagna prende il nome di “matraca”, lo stesso con il quale viene chiamata in Sardegna.
Tornando alla Calabria piace riportare la narrazione fatta da Corrado Alvaro col suo “Gente in Aspromonte”. «Era Giovedì. La sera, fino a notte, mentre i pastori alimentavano in piazza il fuoco di Caifasso, il paese risuonava di canti e di supplicazioni, e il canto di Vocesana era alto e acuto come il canto del gallo. La processione del Venerdì uscì dalla chiesa verso sera. Senza suono di campane, sparuta. Il sole era velato. Un po’ di vento sbatteva come vele le coperte che paravano i balconi. Uscì primo, reggendosi appena, l’uomo con la cappa di spine fino ai piedi. Inciampò sulla scala. Una goccia di sangue gl’imperlò il petto nudo. Appena fu sulla piazza, reggendosi a fatica, si aggiunse allo sbattimento delle coperte un grido confuso di gente che chiedeva pietà ricordandosi dei suoi peccati. Parevano le voci sparse su una nave in pericolo. Dieci chierici uscirono reggendo il cero, piccoli, innocenti, coronati di vitalba fiorita. Il secco rumore del legno che sostituiva le campane legate crepitò sulla piazza».