Fullone racconta la prigionia a Ketziot: «Trattati come materiale biologico»
Cinque giorni nel carcere israeliano del Negev. La testimonianza di un’esperienza di violenza e disumanità
CORIGLIANO-ROSSANO- “Vi invoco/ stringo le mani/ e bacio la terra sotto ai vostri sandali/ e dico: vi riscatterò/ ho custodito l’erba verde/ sulla tomba dei miei avi/ ho affrontato il mio oppressore/ orfano, nudo, scalzo”.
Tawfiq Zayyad è il “poeta della protesta”, capace di affrontare tutte le diaspore e le ribellioni del popolo più martoriato della terra. Dalla Nakba al desiderio legittimo di autodeterminazioni con le Intifada.
Partendo dalla sensibilità di un popolo si può giungere al motivo di abbracciarne la causa. Vincenzo Fullone, reduce dalla prigionia in Israele, ha incontrato, presso la delegazione comunale di Corigliano-Rossano in piazza Montalti, chi in città sente vicina la Palestina.
Cinque giorni di prigionia nel carcere israeliano di Ketziot, nel deserto del Negev. È questa l’esperienza che Fullone ha voluto raccontare pubblicamente, con parole cariche di dolore ma anche di lucidità.
Avrebbe voluto che al suo posto fosse liberato un pediatra di Gaza, spiegando che era certo che, prima o poi, la libertà gli sarebbe stata concessa. «Io sarei uscito comunque – ha detto – lui forse no».
Durante la detenzione, Fullone racconta di essere stato trattato come materiale biologico. Insieme ad altri, tutti disarmati, si è trovato di fronte a una macchina da guerra che li teneva costantemente sotto tiro. «La gente sveniva, si urinava addosso. Io sono stato spogliato, e hanno calpestato la mia kefiah», ha aggiunto.
Ha poi sottolineato il sostegno ricevuto dai ragazzi palestinesi con cui ha condiviso quei giorni: «Non mi hanno mai lasciato solo».
Per una questione morale, ha rifiutato di incontrare la console italiana e altri rappresentanti diplomatici: «Non potevo accettare un privilegio che a loro è negato».
Fullone ha voluto ricordare la sorte dei palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane: «A differenza mia, loro non escono più. Escono cadaveri, spesso senza organi. Sono oltre 9.000 i prigionieri palestinesi».
Nel corso dell’incontro, Abu Salem ha aggiunto una riflessione sulla resistenza palestinese, denunciando l’“arroganza e ferocia sionista” e definendo quanto accade “un genocidio sotto gli occhi del mondo”.
La serata si è conclusa con un invito alla mobilitazione: esprimere solidarietà concreta al popolo palestinese, pressare i governi e boicottare i prodotti israeliani come forma di resistenza civile.