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Sparito elmo bronzeo IV secolo a. C. trovato a Pietrapaola, ora è in California

3 minuti di lettura
La cronaca di questi giorni porta alla luce una storia ignota al pubblico e riguardante uno splendido reperto in bronzo custodito al Getty Museum di Malibu, in California, già al centro di numerosi casi di opere trafugate in Italia e finite nelle sue teche o sui suoi fastosi piedistalli. Si tratta di un elmo in bronzo di tipo calcidico del IV secolo a.C., proveniente dal Sud Italia, caratterizzato da una ricca decorazione che include una protome di grifone come cimiero, fiancheggiato sopra le orecchie da due alette nelle quali un dispositivo a molla è probabile sia servito in origine a trattenere dei pennacchi di piume. La parte frontale dell’elmo raffigura un diadema circondato da ciocche di capelli incise a sbalzo nel bronzo. Le paragnatidi (copri guancia), sebbene danneggiate, sono decorate con ciocche di barba e il profilo di un animale, forse una capra. Secondo gli studiosi che hanno catalogato l’oggetto per conto del museo, la sua ricca decorazione potrebbe verosimilmente suggerirne una funzione cerimoniale anziché un uso in battaglia. Si tratta – aggiungono – di una variante del tipo calcidese prodotta in Sud Italia: un tipo più leggero e meno ingombrante rispetto agli altri elmi greci, caratterizzato da paragnatidi con cerniera. Ma veniamo alla cronaca. Nei giorni scorsi l’Operazione Achei, condotta dal 2017 sul territorio nazionale e in alcuni Paesi esteri dai Carabinieri del Comando Tutela patrimonio culturale, sotto la direzione della Procura della Repubblica di Crotone, ha portato all’esecuzione di 23 misure cautelari contro i presunti componenti di una holding criminale che gestiva un ingente traffico di beni archeologici, oggetto di scavi clandestini in Calabria e poi esportati illecitamente fuori dall’Italia. Tra le carte dell’inchiesta giunte all’attenzione dei media, è emerso come gli inquirenti abbiano assunto sommarie informazioni da Armando Taliano Grasso, noto archeologo e docente di topografia antica presso l’Unical, in merito a una testimonianza che lo studioso ha raccolto nel 1996 e che potrebbe verosimilmente riguardare proprio l’elmo esposto al Getty. Taliano Grasso ha riferito come in quell’anno, durante una campagna di scavi condotta a Strongoli (Crotone) in via Rosario, sia stato avvicinato da un uomo di nome “Luciano” il quale gli ha rivelato come qualche anno prima avesse trovato a Pietrapaola (Cosenza) - presso un sito brettio fortificato ubicato in località Cozzo Cerasello, noto allo studioso per averlo scoperto egli stesso – un elmo in bronzo con due alette ai lati e un grifo d’oro in cima. Inutile dire che l’assenza di prove e quell’inconsueto elemento aureo lasciarono l’archeologo alquanto incredulo, almeno fino a quando non ebbe modo di vedere l’immagine di un elmo ampiamente corrispondente a quella descrizione in un articolo di La Repubblica del 24 novembre 2006, corredato di foto, nel quale si parlava di reperti clandestini finiti al Getty, alcuni dei quali nel frattempo restituiti all’Italia. È evidente quindi che l’Italia doveva aver rivendicato quel reperto, senza peraltro riuscire a farselo restituire, come dimostra il fatto che l’oggetto è ancora esposto nel museo americano. Quanto alla natura aurea del grifo, suppone Taliano Grasso, potrebbe essersi trattato di semplice bronzo dorato inducendo in errore lo scopritore. Certo i Carabinieri non hanno rinunciato a cercare elementi di prova nel corso degli anni e l’avvenuta individuazione del prezioso testimone ora riconosciuto dall’archeologo (sarebbe un 56enne di Strongoli con precedenti penali per possesso illegale di reperti), potrebbe finalmente cambiare le carte in tavola fornendo quegli “elementi concreti” in assenza dei quali lo Stato Italiano non era a suo tempo riuscito a farsi restituire l’opera dal Getty Museum. Non resta dunque che seguire gli sviluppi ulteriori dell’inchiesta della Procura di Crotone. Dal canto nostro vogliamo far notare un altro elemento (forse già considerato dagli inquirenti) che potrebbe ulteriormente rafforzare la tesi investigativa dell’origine ”dubbia” del reperto, e cioè il fatto che a venderlo al Getty, nel 1993, sia stata la Merrin Gallery, attiva a New York da lunghi anni e più volte chiamata in causa nelle inchieste italiane sui traffici internazionali di reperti, risultando agli inquirenti che abbia trattato compravendite con alcuni noti trafficanti come il siciliano Gianfranco Becchina e l’ormai defunto miliardario americano Robert Hecht noto per il suo ruolo di intermediatore. fonte: FAME DI SUD
Redazione Eco dello Jonio
Autore: Redazione Eco dello Jonio

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