di GAETANO PASCALE* L’agroalimentare in Italia gode attualmente di un’attenzione mediatica, sociale e politica molto più rilevante rispetto al passato, merito anche di una qualità delle produzioni che ci viene riconosciuta in tutto il mondo. Tuttavia viene sottolineato poco che il
punto di forza del nostro agroalimentare è dovuto principalmente alla grande varietà di prodotti esistenti nel nostro Paese. Ancora meno viene riconosciuto
il ruolo decisivo svolto da piccoli produttori, agricoltori, artigiani e allevatori nel preservare la biodiversità e che beneficiano troppo poco, dal punto di vista economico, rispetto a trasformatori, distributori e commercianti, dell’appeal del nostro agroalimentare. Perciò se vogliamo che questo settore conservi il prestigio e diventi trainante dal punto di vista sociale ed economico bisogna lavorare affinché il quadro normativo, la ricerca scientifica, la divulgazione tecnica e la riconoscibilità commerciale siano di maggiore supporto a questo mondo della produzione. Troppo spesso infatti non si tiene conto delle esigenze specifiche degli agricoltori e sono relegati al ruolo di fornitori di materie prime per le industrie alimentari. Invece ritengo che sia giunto il momento in cui
l’agricoltura di piccola scala sia un po’ più artefice del proprio destino, indicando e non subendo le innovazioni tecniche e scientifiche necessarie, adeguando una legislazione che la vede troppo penalizzata sul fronte dell’accesso al mercato. Insomma è fondamentale creare un
sistema produttivo capace di essere identitario più che competitivo. Proprio sotto il profilo delle identità, si creerebbero importanti opportunità per il nostro Mezzogiorno, che può attingere a un serbatoio notevole di biodiversità e tipicità, grazie alle quali potrebbe innescare la propria riscossa, facendo leva, forse per la prima volta, sulle vocazioni naturali dei territori. Ovviamente questo modello resta in piedi
se i territori vengono preservati attraverso politiche di tutela ambientale serie e rigorose, se invece prevale il degrado o si cede alla colonizzazione delle multinazionali dell’energia fossile e non, diventa l’ennesima chimera.
*Presidente di Slow Food Italia