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Più razzisti dei "razzisti"

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I risultati elettorali del primo turno delle presidenziali romene, con il massiccio sostegno al candidato ultranazionalista da parte della comunità rumena di Corigliano-Rossano, hanno scoperchiato un vaso di Pandora. Più che la scelta elettorale in sé, è il fiume di commenti che ne è scaturito a destare preoccupazione. Un'ondata di giudizi sommari, di generalizzazioni offensive, di inviti a "tornare a casa", che rivela un lato oscuro del nostro modo di pensare.

Nei commenti alla notizia è stato evocato il "regime di Ceaușescu", il "nazionalismo da asporto", qualcuno ha pure detto che con questo voto la Rimani dovrebbe restituire i finanziamenti dell’Europa (perché?), sono state ricordate le "carceri piene". Insomma, si è messo in dubbio il diritto di voto, invocando addirittura l'espulsione, negando la capacità di scelta autonoma. In poche parole, si è manifestato un razzismo subdolo, mascherato da quell’ormai classico perbenismo delle società occidentali che – fino ad oggi – ha prodotto solo danni.

Il paradosso è evidente: chi si erge a paladino dell'antirazzismo, spesso cade negli stessi errori che condanna.

La comunità rumena di Corigliano-Rossano è parte integrante del nostro tessuto sociale. Contribuisce alla nostra economia, arricchisce la nostra cultura, vive le nostre stesse speranze e paure. Le loro scelte elettorali, come quelle di ogni cittadino, vanno rispettate, analizzate, discusse sicuramente ma vanno capire. Sicuramente non possono essere condannate a priori.

Invece di erigere muri, "proviamo a costruire ponti” – ha detto Papa Leone nel suo primo discorso dal loggione della Basilica di San Pietro. Ma i ponti non sono a senso unico. I ponti servono a ricevere, ad accogliere ma anche a dare, ad aiutare.

Quello che “fa strano” è che buona parte dei commenti razzisti ai “razzisti” è arrivato da chi, sulle sue pagine social o solo a parole, professa il vangelo dell’inclusione, dell’accoglienza a tutti i costi: un altruismo che, però, si infrange con la realtà. Ma guai a farglielo notare, perché rischi di essere linciato ed essere additato come “brutto nazionalista, sovranista”.

La verità è che il perbenismo occidentale, in questi ultimi decenni in cui il globalismo ha preso il sopravvento su tutto, non ha saputo dare una mano concreta a quanti sono stati costretti a scappare dalle loro terre. Abbiamo accolto migliaia di esuli dall’Est Europa, dal Medioriente, dall’Africa senza mai porci la questione più importante: davvero questa gente voleva andare via da casa usa? Assolutamente no, almeno per la stragrande maggioranza di loro. E cosa abbiamo fatto per evitare che l’opulento occidente rimanesse fermo e immobile davanti alle tragedie che si consumavano nei loro paesi? Nulla. Ancora oggi rimaniamo razzisticamente fermi. Certo, qualcuno ci ha raccontato la favola degli “esportatori di democrazia”. Ma, appunto, è una favola che ha prodotto e continua a produrre solo tragedie umanitarie.

Il problema, quindi, non è chi vota chi. Il problema reale è che chi aveva la possibilità di garantire una equità sociale e una convergenza sul riconoscimento dei diritti a quei popoli e a quelle nazioni impantanate nell’arretratezza di regimi autoritari, è rimasto a guardare. E oggi il voto nazionalista che – guarda caso – emerge proprio in occidente e si espande verso est non è altro che una reazione a decenni di spocchia e superbia democratica!

Se i rumeni di Corigliano-Rossano votano in massa Simion non è perché si sono risvegliati dalla sera alla mattina con il “baffetto” o si sono ritrovati d’incanto simpatizzanti di “Sua Eccellenza” ma semplicemente perché reagiscono nel modo più legittimo e democratico (il voto!) a quel sistema che li ha costretti a fuggire via.

La scelta elettorale di un popolo, anche se non condivisa, è espressione della sua volontà. Negare questa volontà, significa negare la democrazia stessa. E questa ondata di intolleranza è davvero inspiegabile e ci interroga sulla nostra capacità di discernimento, di rispettare le opinioni altrui, di costruire una società veramente democratica. Dove l’autodeterminazione dei popoli è un principio sacrosanto.

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.