«Il Crati e il Coscile avevano un corso d'acqua diverso». Questo potrebbe cambiare la storia di Sybaris
Nei giorni scorsi sono stati presentati all'Unical gli studi di Nilo Domanico racchiusi nel libro "Alla ricerca di Sybaris e Thurii - Il Paesaggio Antico". Una ricerca per rispondere a una domanda su tutte: dove era ubicata Sybaris?
ARCAVACATA (RENDE) - Cosa videro Erodoto e Ippodamo al loro arrivo in quella Piana paludosa stretta tra due grandi montagne, da un lato l’imponente massiccio caro al Dio Apollo (Mons Apollineus - Pollino) e dall’altro la verdissima Ìle (Silva poi Sila)? Come si sprigionò la loro fantasia e la loro creatività per costruire, quasi dalle fondamenta, una nuova città che ripercorresse le impronte della gloriosa Sybaris? Quali le direttrici delle strade principali, dorsali fondamentali nel disegno del più grande urbanista del tempo, Ippodamo, intorno alle quali edificare Thurii, nell’alveo ormai disseccato del Crati Vecchio, visto e raccontato da Erodoto? Dove era ubicata la Fonte Thuria, evocata dall’apollineo Oracolo di Delfi?
Sono tutte domande, la cui risposta fino ad oggi è rimasta semi inesplorate e relegata al mito e alla storiografia, ma che ora possono avere un riscontro concreto grazie alle nuove tecnologie, all’avanzare delle scoperte scientifiche e a nuovi studi. Soprattutto quelli di carattere geologico che, di recente, hanno messo un punto fermo: il corso del Crati e del Coscile, i due fiumi legati alla storia della straordinaria colonia greca, non sono più quelli che erano al tempo di Sybaris.
Nel cuore pulsante dell’Università della Calabria, ad Arcavacata di Rende, si è recentemente tenuto un seminario innovativo e sorprendentemente focalizzato sulle scoperte contenute nell’ultima opera dell’ingegnere Nilo Domanico, "Alla ricerca di Sybaris e Thurii - Il Paesaggio Antico". Un momento scientifico, tenutosi straordinariamente nell’aula magna del Dipartimento di Scienze della Terra, guidato da Fabio Scarciglia.
Le ricerche di Domanico rappresentano un viaggio nel tempo che ci porta a esplorare i cambiamenti geologici e idrografici del paesaggio calabrese a partire dal 720 a.C., anno della fondazione di Sybaris, fino all’epoca della costruzione di Thurii, tra il 444 e il 443 a.C. Grazie all’integrazione di dati geologici, morfologici e topografici, si è potuto mappare con precisione il corso dei fiumi Crati e Sybaris (ora Coscile) al tempo della colonizzazione greca.
Le analisi presentate mostrano come i Greci, giunti sulle coste ioniche dell'antica Italia, scelsero con attenzione il luogo ideale per fondare Sybaris. Le caratteristiche naturali, quali la presenza di ampie paludi e lagune alimentate dal fiume Sybaris, consentivano un approdo sicuro per le loro navi e offrivano una difesa naturale. Questo paesaggio, però, non rimase immutato.
I cambiamenti climatici e geomorfologici, come le esondazioni del Crati, trasformarono – allora come oggi - radicalmente l’area. Significativa è l'analisi delle esondazioni avvenute intorno al 510 a.C., che portarono il Crati a cambiare il proprio corso. Un evento che, secondo nuove evidenze, potrebbe essere stato più naturale che antropico. Quindi, non più generato dai crotoniati che, al termine della storia guerra tra colonie, “allagarono” Sibari distruggendola per sempre.
Questi sconvolgimenti geologici hanno avuto impatti rilevanti non solo sul paesaggio ma anche sulla storia delle città, influenzando la decisione dei coloni guidati da Lampone e Xenocrito, inviati da Pericle, di fondare la nuova città di Thurii su un'area ritenuta più sicura e solida. Il lavoro di Domanico, che per la prima volta ha applicato le conoscenze scientifiche e tecnologiche di ultima generazione per attivare la macchina del tempo e ritornare indietro di quasi 3mila anni, ha permesso di valorizzare una ricerca fondamentale per la comprensione del paesaggio antico.
Collaborando con studiosi esperti come il prof. Rocco Dominici e il dr. Giuseppe Cianflone, Domanico ha evidenziato l’importanza dell'interdisciplinarietà, sottolineando come l’unione di archeologia, geologia, ingegneria e agronomia possa portare a risultati straordinari. Il seminario ha portato a una crescente consapevolezza del pubblico rispetto ai termini tecnici come subsidenza e paleoalvei, portando alla luce un antico paesaggio che i colonizzatori greci incontrarono nel loro arrivo.
Oltre al valore accademico, questo studio ha suscitato un forte interesse culturale e identitario, come testimoniato dalla commovente memoria di un operaio degli anni Trenta che lavorò agli scavi di Sybaris e che raccontava con orgoglio di aver partecipato a un’impresa storica che non solo riscopriva il passato, ma anche costruiva un futuro comune.
Infine, il riconoscimento di figure di spicco nel settore dell'archeologia, come Emanuele Greco, già direttore della Scuola archeologica italiana di Atene, ha dato ulteriore legittimazione alla ricerca di Domanico, definendola una “eccellente piattaforma” capace di indirizzare la ricerca archeologica futura.
Con questo doppio imprimatur, quello accademico e quello culturale, se il lavoro di Domanico deve ancora affinarsi per restituire una storia di Sibari diversa e straordinaria, è sicuramente un punto di partenza per avviare nuovi studi che pongano la tecnologia come alleata vigile della storia per restituire una comprensione collettiva del patrimonio comune quanto più oggettivo e reale.