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È iniziato il pressing per la pretesa del voto

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È iniziato il pressing elettorale asfissiante, alla Sacchi maniera. Ogni angolo della grande città pullula di candidati a caccia di preferenze. E siamo solo all’inizio. Siamo ancora a due mesi dalle elezioni. Ci porteranno finiti, esausti e davvero stanchi. Già, perché se questo, per i candidati e appassionati, è il periodo più entusiasmante di un intero lustro, per i mortali cittadini è il periodo più stressante e frustrante che ci sia. 

Me lo dai il voto?” – Sì, vediamo; ma perché dovrei darti il mio voto? – “Assì, il voto tuo. Mi raccomando quello di tua moglie. E poi dillo pure a tua mamma e a tuo papà, ai tuoi figli. Che ci tengo molto!” – Certamente, ma dammi un motivo per darti almeno il mio di voto. – “Ma sì, che poi non devi fare quella visita? Non ti serve quella buona parola con quella persona? Tuo figlio ora finisce l’università e poi non glielo dobbiamo trovare un posto?

Le conversazioni elettorali, ormai fugaci (perché non c’è tempo manco più per quelle), hanno suppergiù questo tono. Chi chiede il voto, nella stragrande maggioranza dei casi, lo fa, forte di una contropartita. Insomma, non una scelta ma una imposizione camuffata da richiesta. È così che vanno le cose alle nostre latitudini. È vanno sempre peggio. Visti gli apparati che in questi giorni si stanno muovendo. E, dicevo, siamo solo all’inizio!

Tutti chiedono (leggi, pretendono) il voto, in cambio della santa protezione su quelli che, in realtà, dovrebbero essere solo diritti acquisiti. Cioè, non ce li deve regalare o elargire nessuno per divina concessione. Ci spettano. 

Piuttosto, il voto andrebbe chiesto sulla scorta di un’idea, di una visione, di un progetto di città. Che, in realtà, nessuno ha. Tutto è cangiante a seconda dei mal di pancia.

Sono anni che cerchiamo di capire dalla nostra politica, dai partiti (tutti) cosa ne vogliono fare della fusione. Qual è il potenziale che secondo loro può esprimere questa nuova città? Tutti stanno zitti e smarriti, cincischiano difronte a questa domanda, che si risolve con una mano d’asfalto posta qua e là, alla rinfusa, per le vie della città; con un po’ di manutenzione, qualche concerto o con misure temporanee che fanno solo ridere e sono uno schiaffo in faccia alle esigenze della gente (un esempio: quella della deroga sul divieto di pesca della sardella è davvero una vicenda grottesca che dà tutta e in toto la misura della pochezza della nostra politica). Non c’è nient’altro. 

Poi, però, si aprono i cantieri. E speriamo non siano solo cantieri elettorali. Perché a realizzare quelle opere serviranno operai specializzati, tecnici bravi (e da noi ce ne sono tantissimi a spasso) e non manovalanza in cambio di voti. Su questo veglino bene i sindacati ma soprattutto la magistratura. 

Siamo ricchi e tanto poveri. I dati li avete letti ieri. Siamo la “polpa” ma rimaniamo spolpati. In questa città c’è il reddito pro-capite più basso della Calabria. E nessuno delle istituzioni locali da quarant’anni a questa parte si è preoccupato di mettere attorno ad un tavolo gli imprenditori di questo territorio per tracciare una strategia di sviluppo forte, lungimirante, efficace. Le imprese si chiamano solo quando servono ad elargire prebende o organizzare qualche evento. Poi stop. Tanto avere un popolo prigioniero di stipendi da fame, stagionali e senza prospettive giova a tutti. Giova soprattutto alla politica che in questa macelleria sociale ci sguazza, perché è qui che si nutre lo sconforto. E più sconforto c’è, più la possibilità di prospettare scenari idilliaci, ovviamente ingannevoli, crea consenso. 

Per gli intercettatori di voto e consenso, vale più una persona libera che porta a casa uno stipendio dignitoso oppure un padre di famiglia che raschia ogni mese il barile e resta aggrappato alla precarietà? Ovviamente il povero Cristo senza prospettiva fa più presa perché rimane aggrappato all’illusione di poter prendere anche lui un ascensore sociale che non passerà mai. 

Questa è la visione adesso. Non è cambiato nulla. Due miliardi di opere che dovrebbero essere realizzate nel nostro territorio – tenetelo tutti a mente – non sono una concessione divina ma solo l’inizio di un processo di dignità che Corigliano-Rossano merita di diritto. Sarà brava quella politica – di destra o sinistra – che ha iniziato a realizzare o che realizzerà tutto questo. Ma sappia, quella stessa politica, che non ci sta regalando nulla. Noi cittadini non dobbiamo dire grazie di nulla. Ricordatelo. Tutti! Perché, comunque vada, saremo sempre in deficit di diritti e servizi.

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.