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L'Eparchia di Lungro, Benedetto XV e il suo ruolo per gli arbëresh di Calabria

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VACCARIZZO - Se cento anni fa abitavi in un paesino sperduto nel cuore della Calabria e volevi sapere qualcosa sull’India, il buon vecchio Kipling te lo andava a spiegare. Per la nostra generazione invece, il mondo intero sembra presentarsi come "familiare". Spesso però, questa sensazione è illusoria. Ogni tanto è utile rinfrescarsi la memoria con la propria storia che apparentemente è qualcosa di arido, troppo complicata, poco divertente. Una foto a volte vale più di mille parole. 

La foto è quella di Benedetto XV circondato da vescovi orientali a Roma nel 1920.

Cosa c'entra con la Calabria? Partiamo da lontano.

Nel XVI secolo, i Turchi, che si andavano espandendo in Occidente, incontrarono la fiera resistenza venticinquennale degli Albanesi guidati da uno dei più grandi capitani che la Storia ricordi: Giorgio Kastriota, detto Skanderbeg.

Skanderbeg era in strettissimi rapporti diplomatici con Venezia, con la Santa Sede (Callisto III lo nominò “athleta Christi”) e coi sovrani aragonesi di Napoli cui aveva tra l’altro prestato, durante una tregua nelle guerre balcaniche, eccellenti servigi militari contro gli angioini che tentavano di rimpossessarsi del Regno.

Ebbene, morto di febbre il Kastriota e caduta l’Albania in mano ai Turchi, chi non si volle sottomettere al loro giogo migrò nelle terre del Regno di Napoli dando vita, specie su sperduti cucuzzoli, a numerosi villaggi. Gli Albanesi erano in genere cattolici a Nord e ortodossi a Sud. Qualche tempo prima il Concilio di Ferrara-Firenze aveva decretato un’unione rimasta, a Costantinopoli, lettera morta.

Tra gli Albanesi d’Italia (“Arbrësh”) alcune parrocchie rimasero latine, altre mantennero la bizantinità del rito grazie a vari riconoscimenti papali. La situazione rimase però parecchio confusa, specie perché le parrocchie di rito greco sottostavano a vescovi latini, fino a che nel 1919, il papa Benedetto XV, quello della foto, non istituì l’Eparchia di Lungro che diede a tutte le parrocchie di rito bizantino del Meridione continentale un vescovo nato dal loro stesso mondo.

L'Eparchia di Lungro, come ha scritto il vicario generale Papàs Pietro Lanza, «vive e osserva, con pienezza di comunione ecclesiale con la Sede di Pietro, la tradizione bizantina con il suo ricco patrimonio liturgico, cerimoniale, iconografico, teologico, spirituale, melurgico. Tali caratteristiche rendono la medesima, in Calabria e in Italia, segno vivente della realtà dei primi secoli dell’era cristiana, quando greci e latini vivevano in comunione e lodavano ciascuno nella propria lingua e secondo le proprie tradizioni l’unico e solo Dio».

Impossibile é la definizione di un avvenimento fino al momento prima che succeda. La visita del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo per il centenario dell'eparchia di Lungro ha avverato un sogno di comunione e fraternità col mondo ortodosso.

L'udienza particolare in Vaticano poi, nella cornice dell'aula Nervi è stato un abbraccio affettuoso da parte di Papa Francesco per i fedeli dell'eparchia protesi «verso il futuro che Dio vorrà». Questo momento ebbe modo a rimarcare quel fil-rouge che lega gli arbëresh alla Sede Apostolica di Pietro.

Non sono un teologo esperto di ecumenismo e posso solo esprimere, per quanto possono valere, le mie sensazioni. Ho sentito in quel 2019 del Centenario, prima della pandemia, così ricco di incontri e comunione, il soffio dolce dello Spirito Santo e della Provvidenza Divina.

Le figure verticali dei rappresentanti di Gesù - sacerdoti, vescovi, Patriarchi, Papi dei quali in apparenza non "interessano" le doti personali, ma innanzitutto la loro obbedienza alla prima istanza, quella evangelica - restano comunque figure che personalizzano il messaggio evangelico a tal punto che la storia della Chiesa potrebbe essere scritta come una storia di una successione di responsabili a vari livelli.

Le istanze della modernità sono interpretate da singole grandi personalità che riescono a spezzare la Parola per i tempi che corrono. La cristianità e persino la cattolicità é attraversata da differenze, al pluralismo rituale  corrisponde una diversa sensibilità.

Come ogni vescovo nella sua diocesi, ogni pontefice propone una visione, una strategia, é chiamato ad interpretare i segni dei tempi e al contempo coinvolge le dimensioni emotive del Popolo di Dio, le richieste di riconoscimento, che consenta quei processi di identificazione attraverso i quali si costruisce l'identità collettiva, in questo caso quella del popolo arbëresh custode del patrimonio religioso bizantino.

In quel lontano 1919 l'uomo della Santa Provvidenza, fu Benedetto XV, essendo Egli guidato dalla Mano di Dio che la sostenuto nella difesa di questa nostra piccola gemma bizantina in terra di Calabria.

Saremmo coinvolti fra qualche giorno nella "Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani", un'iniziativa internazionale di preghiera ecumenica cristiana che si celebra ogni anno tra il 18 e il 25 gennaio.

In una bella intervista il vescovo, Padre e Pastore dell'Eparchia di Lungro, Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Donato Oliverio ha dichiarato: «Oggi non preghiamo più perché le altre Chiese e comunità ecclesiali ritornino dentro la Chiesa Cattolica, nel senso di una uniformità che elimina le differenze, ma si prega perché vi siano una maggiore conoscenza delle altre realtà e uno scambio di doni, all’interno di un dialogo teologico che intende sempre più procedere sulla strada che vedrà, un giorno, quando Dio vorrà, i cristiani in una unità visibile in Cristo, partecipare assieme attorno allo stesso altare alla Divina Eucaristia».

Elia Hagi
Autore: Elia Hagi

Studia a Roma filosofia e teologia e comunicazioni sociali e oggi svolge a Vaccarizzo Albanese il suo ministero sacerdotale. Diventato sommelier, segue con passione la rinascita del vino calabrese con un particolare interesse rivolto ai vini identitari Arbëreshë.