Lo "Zjarr" il fuoco della rinascita a Vaccarizzo Albanese
Uno dei rituali pasquali più significativi, dove alla profonda spiritualità greco-bizantina dei fedeli, si mischiano antiche usanze calabresi
VACCARIZZO – Uno di quei borghi dove l’accoglienza è nel dna degli abitanti, a Vaccarizzo anche se sconosciuti, tutti salutano e sono cordiali. Il nostro viaggio ha uno scopo preciso, conoscere i rituali pasquali del centro abitato.
La nostra guida, padre “zot” Elia Hagi, romeno dal 2005 in servizio nella città arbëreshë, ci spiega come nella liturgia bizantina ortodossa, si celebra la Pasqua. Persona cordiale, con una conoscenza infinita dei riti bizantini e un grande amore per ciò che fa (leggi qui).
Ci apre le porte della chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, quella di rito greco bizantino, l’altra di rito latino, è in fase di restauro. La visione che abbiamo ci toglie il fiato: un’apoteosi di colori e di icone tipiche della confessione, che scintillano di azzurro, rosso e oro. L’odore di incenso, il silenzio tra le navate vuote, la sacralità del tempio.
Zot Elia ci illustra le scritte in greco sulle pareti dipinte ad arte: «In greco perché la nostra liturgia risale al IV secolo, è quella usata fino alla sua caduta, a Costantinpoli. Celebrare la messa anche in questa lingua, ancora oggi è prassi, insieme a quella arbëreshë».
Lo zot di Vaccarizzo non si risparmia e fa un excusus storico partendo dalla popolazione di origine albanese che fuggita, si è insediata nel 1470 in Calabria, mantenendo integre le tradizioni nonostante le contaminazioni del territorio ospitante.
Nel parlarci del venerdì santo, ci rendiamo conto che la miscela tra sacro e profano, si confonde con liturgia ed antiche usanze popolari calabresi. Esempio di questo melting pot sui generis, che ha fatto da collante nel passato tra gli usi del territorio e la tradizione albanese, è la Festa del Fuoco, in arbëreshë Zjarr.
Evento davvero molto particolare e suggestivo, che riguarda un po' tutti i centri arbëreshë e a Vaccarizzo è particolarmente sentito, infatti ci sono delle peculiarità che appartengono solo a questo borgo. Iniziamo subito a descriverle.
«Anche se si celebra la sera di sabato santo perché è la cerimonia di Annunciazione della Resurrezione – ci spiega zot Elia – per noi è la ufficiatura mattutina. L’altare fuori dalla chiesa segnerà il mio saluto ai fedeli. Le porte chiuse del tempio rappresentano il caos che nel luogo della parola di Cristo regna, dal momento della sua crocifissione, ma che svanisce nel momento in cui viene proclamata la sua resurrezione, a mezzanotte "Cristhis anèsti”, Cristo è risorto, in greco, ripetuto dai fedeli finchè lo zot apre le porte della chiesa con la candela accesa: la luce riporta l’ordine, il Cristo risorto sconfigge le tenebre».
I fedeli entrano seguendo lo zot e accendono dalla sua candela, le loro, perché lo Zjarr simboleggia la luce di Cristo: “venite prendete la luce”. In piazza si accende un grande fuoco, in segno di rinascita e i fedeli, compiono un rito che sembra avere connotazioni pagane, vanno presso la fontana vecchia, si riempiono la bocca di acqua che, letteralmente, sputeranno sul fuco in piazza: ora sono purificati nell’anima e nel corpo.
Le icone tipiche dell’ortodossia cristiana vengono esposte per segnare l’inizio di domenica di Pasqua.
Da questo momento in poi i canti di augurio riempiono il paese e soprattutto la canonica, perché quando lo zot si ritirerà dopo l’Annunciazione, i fedeli andranno di fronte alla sua dimora ad intonare canti, segno di giubilo perché Christos anèsti, la Luce è tornata a tracciare nuovamente, il cammino degli uomini di buona volontà.