di LENIN MONTESANTO Democrazia. È uno dei termini ormai più abusati nella dialettica politica contemporanea. Sulla stampa, nelle manifestazioni, nei discorsi del Premier così come in quelli dei sindaci nostrani. Nelle assemblee scolastiche e negli scioperi sindacali. Al bar e dal barbiere. Non c’è stronzata che non venga misurata come più o meno democratica. Finché si resta alle chiacchiere, certo. Perché poi, quando si tratta di usare qualcuno degli strumenti che il metodo democratico offre, ognuno (nuove generazioni di studenti incluse) senza batter ciglio cede a tentazioni di ogni razza, cambiando discorso. E passando da Tocqueville al nuovo feudalesimo dei giorni nostri. In cui, grillismo e renzismo già decadenti, tutto sembra interessare e convincere l’elettore, tranne sapere se l’eletto e la sua squadra (a saperla prima!) saranno in grado, oppure no, di fare ciò che per cui vengono scelti, delegati quando non cooptati. Democraticamente. Detto diversamente, se andrà bene o male, a qualsiasi livello di rappresentanza, non riesce mai a garantirlo il sistema democratico in sé. Se aumenterà o meno la qualità dei servizi di un comune o se un sindaco saprà migliorare la capacità di spesa pubblica e se i suoi assessori saranno in grado, oppure no, di governare con efficacia e risultati settori strategici come i turismi, l’agricoltura, i trasporti locali e le infrastrutture, lo sapremo soltanto dopo e purtroppo a prescindere dalla cerimonia elettorale. Cui si tiene sempre meno, astensionismo montante
docet. Del resto, solo per fare un esempio, chi potrebbe permettersi di bocciare come anti-democratico il sistema degli enti locali olandese? Eppure, vallo a spiegare ai nostri concittadini che il commissario provinciale, in ciascuna delle 12 province con potere legislativo locale, è nominato dalla Corona! Così come è la Regina a nominare i sindaci nelle 483 municipalità dei Paesi Bassi. Altro che elezione diretta come da noi! Ma sarà per questo, forse, che un cittadino di Delft o di Alkmaar, rispetto al gradimento dell’esecutivo locale o al governo del territorio, difficilmente arriva a sparare le stesse lamentele croniche che, di generazioni in generazioni, fanno invece parte del
cahier de doleance del residente tipico di Schiavonea o di Amica. Chissà! Teniamoci pure stretto il nostro sistema che, come sempre, è figlio della storia.
Ma almeno, quelli che ancora credono nel voto, esigessero più garanzie preventive di competenza dai loro candidati. Ecco come. A Rossano, fra circa un anno si ritornerà alle urne. Se tutto va bene, calcoli e telenovele dell’ultimo minuto a parte, i rossanesi sapranno poco più di un mese prima i nomi ufficiali dei due, tre o quattro candidati a sindaco. Qualche settimana dopo, conosceranno anche le orde di portatori di consenso diffuso, piccoli e grandi elettori sistemati più o meno militarmente nelle diverse liste dei candidati consiglieri, in base alle diverse doti di bottega.
Ciò che l’elettore non saprà mai prima del voto (e spesso neppure dopo, vedi in Regione!) sono i nomi degli assessori, cioè dei delegati del sindaco e che molto spesso, soprattutto nelle città medio-grandi e nel difficile contesto attuale, sono gli anelli strategici del successo o dell’insuccesso amministrativo. Saranno in grado i candidati per Piazza SS. Anargiri di confrontarsi già in campagna elettorale con tutte le carte scoperte e con i nomi dei futuri assessori? Sarebbe così scandaloso?