di MARTINA FORCINITI e SAMANTHA TARANTINO El Mehdi, Hayat, Sophia, Mabel, Sandra e Iman sono ragazzi eritrei e nigeriani fuggiti da quella loro terra che non è più rifugio sicuro, non è più casa. Come tanti, hanno raggiunto le nostre sponde in cerca di un futuro e di una serenità che non gli era più concesso di immaginare. A
Rossano sono capitati chissà per quale ragione, sbarcati da quei barconi che negli ultimi mesi hanno sversato nella
Sibaritide fiumi di profughi dagli occhi stanchi e profondi, che raccontano scene di quotidianità tormentate. E il perché abbiano bussato ai portoni dell’
Istituto Tecnico Statale Per Geometri “Falcone e Borsellino” il dirigente e gli insegnanti non sanno proprio spiegarselo. «Sono arrivati direttamente qui, nella nostra scuola – ci dice uno dei referenti del progetto d’integrazione ancora in fase di approvazione,
Domenico Cerenzia - ad anno scolastico già iniziato probabilmente perché, ma è solo un’ipotesi, i loro tutori o le famiglie hanno ritenuto fosse l’indirizzo giusto da seguire per la loro formazione». Sulla possibilità di accoglierli mai nessun tentennamento o indecisione. Perché, in fondo, quando si coglie il valore delle opportunità, bisogna coglierle al volo. «Per la prima volta, un istituto scolastico rossanese ha il piacere di ospitare giovani extracomunitari fuggiti dai loro paesi – ci spiega il dirigente scolastico dei due istituti superiori per geometri di Rossano e Corigliano (“Nicholas Green”)
Alfonso Costanza - per vari motivi che noi non conosciamo ma ugualmente rispettiamo. Pur non essendo un lavoro facile, abbiamo assunto questo impegno come una missione. Perché la nostra scuola lavora per l’
integrazione a 360° nei confronti delle diversità. Ed è un vero peccato che il nostro istituto venga percepito come marginale rispetto ad altri, a causa di una totale disinformazione sulle competenze che in effetti potrebbe offrire. Come noi anche i nostri alunni hanno accolto questi ragazzi in maniera naturale e spontanea. Quale miglior modo per far incontrare due culture se non quella di una partecipazione improntata all’amicizia e alla fratellanza, al di là delle profonde differenze». Non è certo semplice farsi carico della formazione di un gruppo di giovani così complesso ma altrettanto stimolante. E non è un caso che tutti, fra corpo docenti (in particolare i referenti del progetto, i professori
Sabrina Scaglione,
Domenico Cerenzia, Giuseppe Tomei, Pietro Savoia, Teresa Zeppettella) e studenti, si siano dimostrati entusiasti del loro arrivo. «I ragazzi hanno mostrato sin da subito massima apertura verso la nostra lingua e partecipano attivamente alle lezioni, grazie anche ai continui stimoli del gruppo che si è assunto l’impegno del loro inserimento. A partire dal dirigente scolastico fino al personale nel suo complesso, l’istituto è coeso nell’impegno. Il progetto non nasce e muore all’interno della classe. Ognuno ha mostrato massima disponibilità, lavorando anche fuori orario scolastico, per un esempio di integrazione che avviene per la prima volta in una scuola del territorio». Un progetto di sostegno che parte da lontano, con la dirigenza del professor Branda prima e del professor Grande poi, fino alla dirigenza attuale del professor Costanza. E che punta alla compartecipazione e alla conciliazione culturale. Obiettivi che gli insegnanti sperano di raggiungere. E al di là dell’impegno scolastico. «In effetti per legge non si possono superare le 8/10 ore settimanali di insegnamento delle materia, ma il nostro è un lavoro di supporto che non è necessariamente legato alle ore curriculari e alle aule scolastiche, ma anche a percorsi istruttivi da condurre in parallelo e volti alla far conoscere il nostro patrimonio storico-architettonico, culturale e religioso». Accolti come vecchi amici, senza nessuna ombra di razzismo. Nella miglior tradizione di un istituto, il Falcone-Borsellino, che è da sempre sinonimo di inclusività. A volte, però, quando le risorse sono limitate, buona volontà e impegno non sono sufficienti. «Né il comune né la Provincia sono ancora attrezzati per un intervento graduale, anche considerato l’afflusso costante e in aumento di profughi. Non a caso abbiamo aderito a due bandi ministeriali: il primo che prevede il potenziamento della lingua italiana attraverso un programma alternativo basato sugli obiettivi minimi di comprensione, il secondo la possibilità di attingere a risorse non linguistiche: supporto psicologico, teatro, arte, musica e la presenza di mediatori linguistici sul cui supporto, al momento, possiamo fare affidamento in maniera limitata, essendocene solo uno. Anche per questo stiamo lavorando su base volontaria, cercando di coinvolgere associazioni che siano disponibili ad azioni da svolgere sia al mattino che al pomeriggio. Così miriamo all’inclusione sociale e all’integrazione totale attraverso l’apprendimento della lingua italiana. E com’è bello vederli pienamente convinti di voler vivere e partecipare attivamente alla nostra realtà».