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Il Partito Democratico aspetta l’annuncio di Minniti per il congresso

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  ROMA Il congresso Pd è aperto, l’assemblea del partito scorre via veloce e senza sorprese e tra febbraio e marzo si andrà di nuovo alle primarie per scegliere il nuovo segretario del partito. Primarie che, però, stavolta potrebbero non essere decisive, visto che da Statuto bisogna ottenere il 50% più uno dei voti nei gazebo, e con tanti candidati ai blocchi di partenza è forte il rischio che nessuno superi il quorum. In tutto i candidati potrebbero essere sette, se nelle prossime ore saranno confermate anche le candidature di Marco Minniti e Maurizio Martina, che si aggiungerebbero a Nicola Zingaretti, Cesare Damiano, Francesco Boccia, Matteo Richetti e Dario Corallo. Martina formalizza le sue dimissioni davanti a una platea distratta e non troppo affollata. Matteo Renzi non c’è, l’ex leader si tiene “lontano” dal congresso, come ha detto più volte, e preferisce twittare mentre Martina parla dal palco. Dei suoi si vedono Luca Lotti, Francesco Bonifazi e Ettore Rosato, oltre ad Andrea Marcucci e Graziano Delrio. In sala ci sono tra gli altri Paolo Gentiloni, Nicola Zingaretti, Andrea Orlando, Dario Franceschini, Luigi Zanda, Gianni Cuperlo, Matteo Richetti, Franco Marini, Giuseppe Fioroni. In apertura dei lavori Matteo Orfini dà la parola a Frans Timmermans, candidato del Pse per la guida della Commissione europea. Una parentesi europea, prima che Martina prenda la parola per formalizzare le dimissioni e chiedere «unità» al partito. Il segretario uscente rivendica il lavoro dei mesi scorsi e chiede al Pd di non «avere paura di criticare i nostri errori» perché «un grande partito non mette la polvere sotto al tappeto». Martina chiede poi di evitare le risse, ricorda a tutti che anche durante il congresso il partito deve cercare di essere «unito», anche perché ci sono pure le amministrative e le Europee da affrontare. Dei big non parla nessuno, dal palco. Gentiloni a margine dei lavori si limita ad augurarsi primarie «entro la metà di febbraio», anche se altri chiedono di farle il 3 marzo perché prima si vota in Sardegna, Basilicata e Abruzzo. Zingaretti va via subito dopo avere ascoltato Martina e, dinanzi ai giornalisti, chiede un «Pd che si rimetta in discussione, perché non si può stare fermi». Il presidente della Regione Lazio propone anche di abolire la «tassa» di due euro chiesti a chi va a votare alle primarie: «Per votare non bisogna pagare, bisogna chiedere una sottoscrizione» volontaria, ma nessun versamento obbligatorio, in modo da fare «partecipare tutti». All’Ergife, l’hotel che ospita l’assemblea Pd, succede poco altro. Il resto è materia delle trattative informali tra le correnti del partito, a cominciare dalla data delle primarie e dalle candidature. Martina, secondo quanto si apprende, sarebbe sul punto di dire sì. Minniti dovrebbe annunciare la sua corsa domani, ma nel frattempo girano voci di suoi dissidi con i renziani che avrebbero proposto all’ex ministro di prendere in ticket Teresa Bellanova. Voci poi smentite da «fonti qualificate renziane», secondo le quali «l’ipotesi del ticket non esiste». Di sicuro, però, non è semplice il rapporto tra Minniti e l’area che guarda all’ex premier, che già la scorsa settimana avevano mandato segnali contrastanti dalla loro riunione a Salsomaggiore. I renziani si dividono tra più candidati, Delrio e Orfini sarebbero a sostegno di Martina e in campo c’è anche Richetti, che pure è parte di quel mondo. Una divisione che, appunto, può ripercuotersi nel voto finale. Il congresso prevede una prima fase, riservata agli iscritti, alla quale partecipano tutti i candidati. Poi si svolgono le primarie, ma solo tra i primi tre candidati che superano il 5% nella prima fase. Per questo, se saranno in campo anche Martina e Minniti, è alta la probabilità che nessuno raggiunga il 50% più uno dei voti è grande. Ed è forte anche il rischio che in un quadro del genere il partito si divida ancor più in mille correnti diverse. Per questo Martina richiama all’unità. Per questo Veltroni e Gentiloni guardano con preoccupazione il congresso che sta per iniziare, anche se l’ex premier in pubblico nega che ci siano “liti” nel Pd. 551 SINDACI CON L’EX MINISTRO Intanto «551 sindaci hanno firmato l’appello per sostenere la candidatura di Minniti a segretario nazionale del Pd. Serve una guida forte e autorevole, per un’opposizione netta e per un’alternativa riformista e di popolo». Lo rende noto il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, in un tweet, aggiungendo: «Oltre ai sindaci, altri 200 amministratori regionali e comunali stanno sottoscrivendo l’appello. E la raccolta va avanti». Nell’appello, i sindaci sottolineano la necessità di contrastare i sovranismi e «un governo pericoloso, fatto di propaganda e zero fatti, che sta mettendo realmente a rischio il futuro degli italiani» e questo mentre ci si prepara alla sfida delle europee. «Per questo il congresso del Partito democratico non può parlare esclusivamente al suo interno, risolvendosi in una diatriba tra parti contrapposte. È necessario mettere in campo un’opposizione fortissima e un progetto di alternativa culturale, riformista e di popolo alla destra populista». Una fase che non si può affrontare con una «contrapposizione personalistica» al congresso «né con una miriade di candidati e auto candidature che ci farebbero frantumare. Abbiamo bisogno di individuare un profilo forte e autorevole contro l’incompetenza e l’estremismo giallo verde. Crediamo pertanto che Marco Minniti, figura dal netto profilo democratico e unitario, potrebbe essere la figura giusta per guidare il nostro partito». MINNITI A MILANO «I riformisti devono comprendere che non devono guardarsi l’ombelico perché c’è un avversario molto pericoloso e se si guardano l’ombelico c’è il serio rischio che l’avversario vinca». Lo ha detto Marco Minniti, ex ministro dell’Interno e deputato del Pd, parlando della situazione politica attuale nel corso della presentazione del suo libro “Sicurezza è libertà” a Bookcity Milano. «Ai fabbricanti di paura rispondiamo mettendo in campo un progetto riformista. In questo momento in Italia la situazione è difficilissima – ha continuato -. Il decreto sicurezza che io definisco insicurezza fa emergere una differenza di valori e di visione della società. Mai l’Italia è stata messa di fronte a due visioni del mondo così. Ma io dico che non saremo mai l’Ungheria nel cuore del Mediterraneo». «Il punto cruciale – ha aggiunto Minniti – è che di fronte a chi aveva paura noi abbiamo avuto un atteggiamento aristocratico e non abbiamo ascoltato. Abbiamo avuto anche un atteggiamento di biasimo nei loro confronti. Ma chi ha paura sono i ceti più deboli della società. Se la sinistra non ascolta questi ceti con chi parla? Se non vengono tutelati, difesi e pedagogicamente educati dalla sinistra chi lo farà tutto questo? Noi ci siamo ritirati da questo. Il compito della sinistra è quello di stare accanto ai cittadini per liberarli dalle paure, mentre i populisti li vogliono tenere incatenati alle paure». In questi mesi estivi dal punto di vista degli sbarchi «sembrava che ci fosse una situazione drammatica, di emergenza – ha concluso Minniti -, abbiamo chiuso i porti anche a una nave della guardia costiera italiana. L’emergenza c’è sempre anche se non esiste e questa è la strategia della tensione comunicativa dei nazionalpopulisti». fonte CORRIERE DELLA CALABRIA
Redazione Eco dello Jonio
Autore: Redazione Eco dello Jonio

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