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Verso nuovi orizzonti di maternità

3 minuti di lettura

Perplessa e di certo senza ricette, ci provo a ragionar di madri. Oggi.

Per noi donne è sempre un interrogarci, sia che riguardi il nostro essere figlie, sia che riguardi direttamente l’essere madri.

E tuttavia, penso la maternità riguardi sempre le donne tutte, in quanto parte, ineliminabile, del nostro essere. Comunque essa si esplichi.  

Esperienze, carattere, psiche, cultura, contesto… tutto confluisce nel segnare forme, dimensioni ed espressioni del vivere la maternità.

Cerco parole che segnino la strada.

Creare. Al di là del principio biologico del generare, è segno primo di maternità creare un individuo, nel senso più pieno; anche metaforico: portarlo alla vita, inserirlo gradualmente nel fluire del suo mare, informarne (inevitabile!) gesti, movimenti, parole. Sguardo.

Contribuire a costruire. Si contribuisce a gettare, così, le fondamenta di un edificio, nella consapevolezza (forse qui il punto cruciale!) che esse ne determineranno la struttura e la capacità di elevarsi. Non siamo sole nel costruire, ma credo che la scelta di stile, materiali, declinazione e distribuzione di spazi, appartenga, in significativa parte, alla maternità.

Luce, ricambio d’aria, aperture verso l’esterno, sicurezza, flessibilità, pareti libere da colorare, angoli di intimità, spazi da esplorare, morbidezze per rotolare, solidità per mettersi in piedi potrebbero essere elementi di un progetto (concettuale) che parte con buoni auspici di felicità. Obiettivo unico legittimo di chi si sente architetto della vita altrui.

Cura. La parola è una di quelle che nei secoli è stata caricata da un’ingombrante complessità di rimandi e valenze. Sostanzialmente due i significati: ansia, preoccupazione, affanno. Inquietudine, dunque. Attenzione, sollecitudine, desiderio di fare il bene dell’altro. Avere a cuore, quindi.

La maternità può riconoscersi, nella sua essenza prima, nell’avere a cuore un altro essere che sentiamo, viviamo come più fragile di noi; pertanto, da accudire e proteggere. Atteggiamento non esente da quelle preoccupazioni di cui sopra.

Ma è qui che l’amore fa prova di sé, trovando la giusta misura tra il voler prevenire il dolore e il saper lasciare andare -quando vorrà e sarà- lontano da noi, liberando l’altro dalle sue ansie: di non essere abbastanza, di non riuscire a cavarsela, di sentirsi in colpa con chi gli ha dedicato la vita, di non voler deludere aspettative, di dover realizzare sogni che l’adulto ha lasciato in attesa; a volte, anche di competere con l’ombra stessa del genitore.

Dare valore. Prendersi cura è anche, soprattutto, riconoscere l’altro portatore di valore, unico, insostituibile, degno di tutte le nostre attenzioni!

Eppure, quanto danno può generare questa cura se vissuta senza equilibrio, intrisa di attese!

Lasciare andare. Lacan parla di madri coccodrillo per indicare le donne che, a furia di sacrificare la propria vita, facendo del figlio l’unico loro centro di attenzione, tendono a fagocitarlo, a inglobarlo in se stesse, finendo col non riconoscerne autonomia e libertà.

Silvia Vegetti Finzi, psicologa e accademica oggi 82enne, tra i massimi punti di riferimento del femminismo anni ’80, rielabora una sorta di mea culpa epocale: “la mia generazione ha sbagliato a non proporre una nuova idea di maternità alle giovani donne di allora, oggi ultraquarantenni. Abbiamo insegnato loro ad essere figlie, ma non madri.”

Mancherebbe, in sostanza, un rinnovato modello di maternità al nostro tempo.

Sarà così?

Il porsi domande continue, non sentirsi all’altezza del ruolo, pensare di non fare abbastanza è costante di ogni donna. Eppure, pressoché ogni donna si divide tra l’essere figlia, compagna, madre e persona sociale; con il proprio diritto all’autorealizzazione.

Felicità. Non vi sono ricette; ma credo che una donna che abbia cura anche del proprio sé e coltivi il proprio viaggio personale verso la felicità (complesso, soggettivo, imperniato sulla generatività stessa!) sia una madre “sana”, che ami accogliendo, ma sappia anche regalare coraggio e libertà.

La felicità di ogni cittadino deve tornare al centro della policy dello Stato, con scelte conseguenti su economia, lavoro, organizzazione dei tempi, spazi urbani, strutture sociali, riconoscimenti su più fronti. Indispensabile, se non come imperativo morale, certo come fattore concreto, per fermare quel decremento demografico che urla attenzione e soluzioni

L’essere madre, allora, -come anche l’essere figli adulti che non vogliono abdicare alla cura verso i propri genitori anziani- parte da una condizione personale e psicologica, ma risente dei condizionamenti sociali; facilitanti o meno; materiali o immateriali.

L’augurio, oggi, è che ogni donna senta in sé la pienezza vivificante di una maternità capace di trovare la propria essenza nella gioia del costruire insieme; nella cura verso l’altro, ma anche verso sé; nella fiducia del lasciar andare.

Testimoniando un nostro personale percorso di felicità potremo aprire una strada più ampia alla felicità di chi amiamo.

Alessandra Mazzei
Autore: Alessandra Mazzei

Diploma classico, laurea in Lettere classiche a La Sapienza, Master in Pedagogia, insegue una non facile conciliazione tra bios theoretikos e practikos, dimensione riflessiva e solitaria, e progettualità concreta e socialmente condivisa. Docente di Italiano e Latino, già Assessore alla Cultura e Turismo di Rossano, impegnata in diverse associazioni socio-culturali, ma, prima e più di ogni altra cosa, mamma, felice, di Chiara Stella, Gabriele e Sara Genise. Ha grande fiducia nelle capacità dei giovani, degli studenti, di quelli che poi restano e di quelli che vanno pensando un giorno di tornare. Spera di poter contribuire, insieme a loro e ad amici ottimisti, alla valorizzazione di questa terra di cui sente da sempre la forza delle radici, accanto al bisogno di paesaggi culturali ampi e aperti. Ama la scrittura, che vive, al pari dell’insegnamento, come itinerario di ricerca e crescita personale, da coltivare in forme individuali e collettive.