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Io ti incorono signore di te stesso

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Fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte. // Non aspettar mio dir più né mio cenno;/ libero, dritto e sano è tuo arbitrio,/ e fallo fora non fare a suo senno:/ per ch’io te sovra te corono e mitrio».

Quanta emozione ogni volta che rileggo questi versi!

Forse sono le parole che avrei sempre desiderato mi rivolgesse un maestro; forse penso a quando sentirò di pronunciarle verso un figlio; forse le ho vissute in ogni saluto con gli studenti arrivati al compimento del ciclo.

Siamo alle porte dell’Eden, ultimo gradino di quella scala che segna il cambio di dimensione: alle spalle il Purgatorio e prima d’esso il tristo Inferno; davanti, finalmente, il Paradiso terrestre.

Il viaggio fin qui svolto ha visto Dante camminare seguendo l’orme di colui che l’ha condotto in salvo; di un maestro che, chiamato dagli occhi lacrimanti di una donna (amata, amante, compagna, sorella, madre, guida?), ha soccorso l’uomo in un momento di smarrimento, paura, quando continuare da solo sarebbe stato o impossibile o condizionato da corruzione dell’anima e dannazione. Lui gli è andato incontro, lo ha riconosciuto, ha assunto su di sé la funzione di guida, cosciente della complessità del doverlo condurre in un lungo percorso di acquisizione di consapevolezza e di conquista di qualcosa che lui maestro stesso non sa che sia, non ha conosciuto, ma che sa essere la meta dell’allievo.

Dante costruisce e sceglie per sé un maestro che, al di là di ogni allegoria, trova massima vitalità proprio sul piano letterale. Virgilio maestro di vita, ma non maestro a vita; non si irrigidisce in un ruolo che ne stigmatizzi superiorità e distanza; sente dall’inizio, sebbene lo riveli solo alla fine, che l’allievo lo supererà, che ad un certo punto la sua funzione diventerà inutile; addirittura inadeguata. Gradualmente retrocede, per lasciare spazio. Ma un ultimo atto dà senso a tutto il viaggio. Il discepolo non sa che quello che sta ascoltando è un saluto definitivo e ne riceve una gioia nuova; un vigore mai finora provato.

Virgilio si congeda senza tragicità, senza cercare riconoscimento per sé. E’ il tempo in cui riconoscere al suo discepolo la raggiunta maturità; in cui rinforzare la sua autostima, la fiducia nella sua autonomia di giudizio, in quella forza interiore conquistata attraverso l’esperienza del dolore, dell’errore, del pentimento, dell’umiltà. Libero, dritto e sano è ora il suo arbitrio. Dante può andare sicuro ad esplorare la pienezza della vita umana in quel luogo senza limiti. E lui va; senza paura. Non tanto perché sa che di lì a poco incontrerà Beatrice, ma perché sente che è un uomo nuovo, maturo, forte, come il maestro ha consentito che diventasse, educendo eum a trovare la sua strada personale.  

Il maestro, se è saggio veramente, non vi offrirà di entrare nella casa della propria sapienza; vi condurrà fino alla soglia della vostra mente.
[…] come ciascuno di voi sta da solo nella sapienza di Dio, così ciascuno di voi deve essere solo nel suo conoscere Dio, e nel comprendere la terra.

Così Khalil Gibran.

Precetto sempre valido, ma mai  quanto ai tempi nostri.

Fallito, o non più attuale, quel mondo costruito su sistemi gerarchici e linee temporali con tappe certe, occorre sempre di più essere esploratori; allievi di se stessi; giovani con una salda autostima che valga a compensare le certezze che la società non garantisce più, imprenditorialità per reinventarsi sempre, e pensiero divergente, per riconoscere l’odore e allontanarsi da ogni sistema che miri a condizionare, omologare, controllare.

Indispensabile il passaggio dall’essere gregari al diventare e-gregi, nel senso etimologico dell’uscire dal gregge per realizzarsi in forme autentiche.

In questo percorso di costruzione dell’autostima, come adulti, seniores giudicanti, abbiamo un ruolo non sempre probabilmente a noi ben evidente.

L’effetto Rosenthal (o Pigmalione), secondo cui il modo in cui guardiamo i nostri ragazzi, il (pre) giudizio che ci formiamo -e spesso esprimiamo- su di loro, ne determina effettivamente i risultati, è tristemente potente: rischia di appiattire i pochi ritenuti bravi -elogiati in forme preconfezionate e quindi non stimolanti- e toglie motivazione e fiducia a quelli considerati meno in gamba –non riconosciuti nei loro sforzi e progressi-.

Facciamo attenzione ogni volta che licenziamo i ragazzi, come generazione tutta, o come singoli, in giudizi affrettati, statici e irrispettosi.

Saremo adulti e guide generative, se a casa, nelle scuole, per strada, creeremo per loro percorsi di senso, che i giovani percepiscano tali e in cui avvertano che ha un valore esprimersi. 

Cambiamo il nostro sguardo su di loro, impariamo da quel grande maestro che Dante fu e sempre sarà: accompagniamo ogni ragazzo, specie chi ha attraversato selve e montagne, a conquistare il suo personale Eden e, quando sarà ad un passo da lì, diamogli quella meravigliosa iniezione di fiducia e forza; facciamoci da parte e restituiamolo a se stesso dicendogli io te sovra te corono e mitrio.

 

in copertina: Opera di Dalì, Ultime parole di Virgilio a Dante

Alessandra Mazzei
Autore: Alessandra Mazzei

Diploma classico, laurea in Lettere classiche a La Sapienza, Master in Pedagogia, insegue una non facile conciliazione tra bios theoretikos e practikos, dimensione riflessiva e solitaria, e progettualità concreta e socialmente condivisa. Docente di Italiano e Latino, già Assessore alla Cultura e Turismo di Rossano, impegnata in diverse associazioni socio-culturali, ma, prima e più di ogni altra cosa, mamma, felice, di Chiara Stella, Gabriele e Sara Genise. Ha grande fiducia nelle capacità dei giovani, degli studenti, di quelli che poi restano e di quelli che vanno pensando un giorno di tornare. Spera di poter contribuire, insieme a loro e ad amici ottimisti, alla valorizzazione di questa terra di cui sente da sempre la forza delle radici, accanto al bisogno di paesaggi culturali ampi e aperti. Ama la scrittura, che vive, al pari dell’insegnamento, come itinerario di ricerca e crescita personale, da coltivare in forme individuali e collettive.