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Il padre. I padri

3 minuti di lettura

Archetipo profondo. Esperienza universale che, pur legata ad epoche storiche, mentalità e latitudini culturali, è un bisogno congenito della persona  di ogni spazio e tempo: il padre. I padri.

Rileggere il paterno consolidato in noi significa risfogliare le pagine della nostra storia emotiva, che proietta la sua ombra lunga nella costruzione delle nostre vite adulte: affettive, amicali, professionali.

Gioie conquistate insieme, o delusioni nascoste; silenzi di soggezione, o confessioni e complicità; ansie condivise, o forse taciute per non accorare chi di pesi ne sentiva già tanti; parole e sguardi, profondi o mancati: attimi incisi in una memoria indelebile che seleziona, a capriccio, momenti lì per lì irrilevanti, determinanti, poi, nella rilettura del dopo.

Padri presenti, padri spesso distanti; padri autoritari, altri solo al tuo fianco; padri schiaccianti, o capaci di incoraggiare; padri coscienti, altri angoscianti; padri da esempio, altri solo da amare; padri del rispetto, altri, forse, da dimenticare. Comunque padri. Fotogrammi di celluloide in una pellicola srotolata, la cui lunghezza non è stato dato a noi decidere. Per alcuni fortunatamente lunga; per altri troncata troppo presto. La mia tra queste.

Uomini figli di madri, culture, e codici diversi, che la vita rende padri senza mai consegnare loro un manuale che li metta al riparo da errori, paure e da quelle emozioni che modelli stereotipati di mascolinità hanno insegnato solo a soffocare, quasi mai ad interpretare e nominare.

Non è certamente facile per gli uomini diventare padri empatici, presenti anche psicologicamente alla crescita serena dei loro figli. Eppure la paternità penso sia davvero la più grande opportunità per diventare un uomo migliore. Alcuni, senza esserlo biologicamente, lo diventano per tanti. Ed è straordinario.

La letteratura di inizio Novecento ci consegna l’intensità di tante voci filiali che hanno sentito il bisogno di atti liberatori, affrancatori nei confronti di padri-padroni che inibivano giovani sensibili e fragili, lontani dall’efficienza borghese e solo per questo licenziati come inetti, non all’altezza. Kafka, Pirandello, per citarne alcuni; o Natalie Ginzburg, per gettare uno sguardo sulla prospettiva di una femminilità in soggezione. Punte di un iceberg che sprofondava in oceani di tristezze.

Poi le rivoluzioni, il ’68, hanno spodestato il padrone, liberata la società da modelli detentori di autorità in famiglia, ma anche nella vita pubblica.

E’stata la nascita di una società che si avviava a vivere senza padre, per richiamare il titolo del famoso saggio  di Alexander Mitscherlich.

Nella psicanalisi il padre è stato assimilato al super-io, a quella dimensione del dovere, del controllo, della responsabilità, dell’impegno, della regola. “Società senza padre” è diventata, perciò, l’epigrafe per raccontare generazioni di giovani liberati, sì, dall’oppressore antagonista, ma al contempo privati di modelli chiari di riferimento, di orizzonti certi, di capacità di sacrificio. Si erano aperti i cancelli, ma senza costruire strade, lasciando alla deriva adolescenti spiazzati e poco guidati.

Poi il boom economico, il sogno del benessere, l’identificazione della maturità con la solidità economica vera o ostentata; felicità assimilate ad un culto esagerato dell’immagine, delle proprie case, delle macchine: status simbols chiamati a simulare quel che spesso era senza sostanza. Icone pubblicitarie. Uomini per lo più in carriera, aspirati in modelli di vita divenuti via via sempre più competitivi e accelerati, mentre il ruolo paterno tornava ad essere, in forme diverse, ma legittimate, svuotato: il garante di vite esternamente rassicuranti, quanto dentro povere di spessore educativo e valoriale.

Generalizzando solo per necessità di spazio, oggi quegli adolescenti di ieri sono i padri di oggi. Recriminazione, nostalgia, rivendicazioni di genere? Non avrebbe senso. Ma bisogno di riflessione sì.

Perché Papa Francesco ha scritto proprio ora la sua Patris corde? Perché ha parlato di una generazione orfana, anche in famiglia; di forti deleghe ad “agenzie” esterne alle mura domestiche? Ha urlato, con severa dolcezza, l’attuale bisogno estremo di padri, accoglienti, presenti; uomini, non eroi.

Non credo in modelli preconfezionati di maternità o paternità. Ma ho estrema fiducia nelle persone vere, con tutte le loro imperfezioni, le loro debolezze, le loro insicurezze. Credo nella forza dell’amore agito, vissuto. Credo nella presenza costante e nella comunicazione profonda, sincera, coi figli. Anche ora, anche quando tanti padri hanno legittime paure, perché la crisi toglie le certezze di oggi e di domani. Specie ora.

A volte basta solo sedersi lì ad ascoltare; parlare veramente di sé, di loro, senza frasi fatte; partecipare, ogni giorno; riconoscere, incoraggiare, scherzare, rimproverare quando serve. O stare in silenzio; ma lì; accanto. Questo -ne sono certa!- rende i figli forti e solidi per il loro domani. Il resto verrà.   

Alessandra Mazzei
Autore: Alessandra Mazzei

Diploma classico, laurea in Lettere classiche a La Sapienza, Master in Pedagogia, insegue una non facile conciliazione tra bios theoretikos e practikos, dimensione riflessiva e solitaria, e progettualità concreta e socialmente condivisa. Docente di Italiano e Latino, già Assessore alla Cultura e Turismo di Rossano, impegnata in diverse associazioni socio-culturali, ma, prima e più di ogni altra cosa, mamma, felice, di Chiara Stella, Gabriele e Sara Genise. Ha grande fiducia nelle capacità dei giovani, degli studenti, di quelli che poi restano e di quelli che vanno pensando un giorno di tornare. Spera di poter contribuire, insieme a loro e ad amici ottimisti, alla valorizzazione di questa terra di cui sente da sempre la forza delle radici, accanto al bisogno di paesaggi culturali ampi e aperti. Ama la scrittura, che vive, al pari dell’insegnamento, come itinerario di ricerca e crescita personale, da coltivare in forme individuali e collettive.