Nel momento di mercato più florido per l'agroalimentare italiano (tra i pochi effetti positivi che ci sta lasciando l'emergenza covid),
nella Sibaritide il comparto d'eccellenza dell'agrumicoltura continua a vivere con il cappello in mano, soggiogato com'è alle leggi di mercato e ai prezzi che vengono imposti dai grossisti della frutta. Tant'è, che in un anno in cui
l'oro arancio della Piana, la celebre e prelibata clementina, poteva essere valorizzato anche nella sua produzione, non più con prezzi da fame, succede che il prezioso agrume della Calabria del nord, apprezzato nel mondo,
viene pagato a prezzi di granlunga inferiori a quelli dello scorso anno. Con il rischio palese, che l'agrume rimanga sull'albero. Questa storia sembra tanto a quei film che passano in Tv la notte di Natale: sempre gli stessi e tutti con lo stesso leit motiv.
Quella della svalutazione degli agrumi nella Piana di Sibari è una vertenza vecchissima, alla quale nessuno è riuscito a porre un argine né attraverso politiche di tutela virtuose ma nemmeno attraverso una cooperazione verace tra produttori.
Mascaro: «L'agrumicoltura calabrese riesce a perdere anche in epoca di pandemia»
Ed è questo il grande cruccio dell'ex sindaco di Rossano Stefano Mascaro, oggi tra gli storici produttori di Clementine di Corigliano-Rossano. Che rilancia e provoca: «
l'agrimicoltura calabrese riesce a perdere anche in epoca di pandemia e senza prodotto.
Gli ultimi eventi di calamità per piogge persistenti hanno contribuito sin da oggi a constatare che abbiamo
perso in un colpo solo circa il trenta per cento della produzione. Peraltro già il 25% era stato compromesso per pezzature troppo piccole non richieste nemmeno dai paesi dell’Est Europa. A conti fatti - precisa - ci ritroviamo da domattina con meno della metà di produzione vendibile». C'è il problema di fondo che qui non si è mai fatto gioco di squadra.
Perché il gioco di squadra, probabilmente, mina gli interessi di qualche grosso produttore, tra cui alcune aggregazioni di cooperative. È fatto noto e risaputo che nella Piana di Sibari e a Corigliano-Rossano,
di questi tempi, arrivino Tir carichi di mandarini (pseudo-clementine con valore di molto inferire alle clementine autoctone) provenienti dalla Spagna o dal Marocco, che poi vendono rivenduti, senza controlli, e spacciati come clementine di Corigliano-Rossano. È li che si fa il gioco del prezzo al ribasso. Paghereste mai un iPhone 11 a 100 euro? No, perché o sarà rubato oppure sarà una patacca. E stesso discorso vale per i nostri agrumi che
sui banconi delle grandi catene dei seupermercati, da Nord a Sud e in tutta Europa, vengono venduti a prezzi stracciati e con la dicitura "clementine di Corigliano-Rossano" quando questo territorio non lo hanno mai visto nemmeno da lontano. Spesso, infatti, il vero prodotto autoctonoo rimane sugli alberi o a marcire a terra. Proprio perché i prezzi imposti da fame non ne consentono la vendita. «Questo grido di allarme - dice ancora
Mascaro - viene probabilmente dall'azienda più piccola, ma con antica storia, e con umiltà
chiedo a tutti i colleghi di stringere i denti lasciando perdere il tradizionale stato di calamità che poco serve nell’immediato e di tirare fuori gli attributi. Non solo essere capaci di “rubare “ il cliente al collega, ma chiedere indistintamente a tutti i confezionatori di difendere dignità e prezzi di fronte a tutto il mondo della grande distribuzione organizzata.
La cosa più grave è che 10/15 aziende e 10/15 persone messe allo stesso tavolo possono determinare ricchezza non solo per le aziende stesse ma per tutte le famiglie di piccoli e medi agricoltori che al contrario rischiano di dover abbandonare le stesse aziende. Chiudo dicendo a chi guida di
ricordarsi di avere a bordo dei passeggeri che si chiamano agricoltori che hanno bisogno di rafforzarsi e non di affondare».