di MATTEO LAURIA La fobia di Facebook. Persino il monitoraggio dei “mi piace”. Siamo arrivati all’assurdo. La politica annebbia i cervelli. Nulla contro la piattaforma mediatica, luogo di relazioni sociali, ma si contesta
l’uso diabolico di alcuni candidati che osservano ogni movimento: da un “post” a un “link”, da un semplice commento a una condivisione. Un tormento. E non solo per le vittime, ma anche per chi è entrato nel tunnel vorticoso del controllo di tutto e di tutti. Una vera e propria ossessione che trae origine dall’avidità del potere.
Qualche elettore pare sia stato rimproverato per aver condiviso un “post” e qualche pseudoamicizia è andata a farsi friggere. Vedere una classe politica ridotta in questi termini fa male. È il frutto di un clima di veleni di cui si parla da mesi e verso cui non si riesce a porre un freno. Basta poco e i nervi saltano. Come è accaduto di recente:
un Consigliere regionale ha inteso querelare un candidato a sindaco sulla base di una critica politica circa il suo operato in materia di sanità. Per carità, tutto legittimo: l’atto di querela, la critica politica, la dialettica che s’inasprisce. Ma è proprio necessaria la carta bollata? Ciò conferma la recrudescenza culturale in atto. Tra l’altro, il destinatario della denuncia non è uno di quelli che solitamente se le tiene, né si lascia intimidire. Ragion per cui, a partire dalle prossime ore, se ne sentiranno delle belle. L’imbarbarimento fa presa su molti: basta esprimere un’idea politica e si va su tutte le furie. In verità, non è un problema solo della politica, ma di una certa classe dirigente che tende al volgare. Nei giorni scorsi, sol perché è stato scritto che la segreteria della Cgil di Rossano è stata ridotta a “sportello” paragonandola con il passato, e sol perché è stato contestato un tenue sostegno alla problematica sul tribunale di Rossano, sono stati affissi dei manifesti pubblici con attacchi personali nei confronti del giornalista in questione di cui, ovviamente, la sigla sindacale omette il nome. È quindi
un contesto generalizzato che guarda verso il basso. Per non parlare del linguaggio utilizzato da molti sindaci nei comunicati stampa, spesso offensivi delle persone e delle professionalità. Quasi fossero persone diverse quando s’incontrano faccia a faccia. Una sorta di sdoppiamento delle personalità. E che dire del movimentismo civico, avvitato sull’autoreferenzialità.
Si entra in competizione persino nelle iniziative di lotta: quelle degli uni sono superlative, quelle degli altri “passerelle” o “scemenze”. Vi è un decadimento complessivo che trae linfa nella mancanza di valori. Uno su tutti: il rispetto tra le persone. La volgarità supplisce il merito delle questioni. Quando non si ha cosa dire, si attacca sul piano personale. E il paradosso è che chi si esercita nel dare spazio all’illazione e alle offese spesso ha un “retro” non certo trasparente.
Sono le contraddizioni di una classe dirigente che ha perso la bussola della ragione, senza ritegno, spregiudicata e priva di un minimo di saggezza. Da una parte i buoni, dall’altra i cattivi. E in campagna elettorale questo confine si delimita in amici e nemici.
Occorre abbattere il muro dell’odio! È quasi auspicabile un richiamo della Chiesa perché si ponga al centro il valore delle persone, il senso del rispetto e dell’umanità. Si pensi per un attimo:
la città del Codex che ospita una mentalità svilente. Una contraddizione in termini. Da qui, l’invito ad elevare il dibattito politico, l’esortazione a una certa intellighenzia a non rimanere chiusa tra le mura antiche della città. Sul ruolo degli intellettuali si è detto e scritto tanto, ma non si riesce a stanarli. Al di là della convegnistica o di manifestazioni di facciata, non si riesce ad andare oltre.
Oggi la città ha bisogno di chi sa andare oltre. Nascondersi è un atto di tradimento.