Lasciateci sognare in pace
Quelle "nuove" mura, a prescindere dal loro racconto, possono innescare un processo identitario che potrebbe diventare il simbolo dell'autonomia agognata da questo territorio
E se davvero Sybaris non si trovasse a Sibari? E se davvero la più gloriosa delle colonie achee avesse trovato edificata memoria sulle colline a ridosso dell’odierna Arberia e quindi della Sila Greca e quindi nella terra coriglianese, con la sua Acropoli, i suoi Templi, la sua Necropoli e le sue Mura? Chi può dirlo se non la scienza e le nuove tecnologie che – a differenza del passato – ci consentono di osare un po’ di più rispetto ai racconti, all’interpretazione delle testimonianze storiche e alla sola immaginazione? Ad oggi, a parte il sito archeologico di Sibari di età romana, al di là del “nuovo” Crati, a Parco del Cavallo, non abbiamo un’evidenza concreta che lì, sotto gli strati limosi e paludosi della Piana possano esserci i resti dell’antica colonia magnogreca. Forse sono da tutt’altra parte. Forse! Non lo sappiamo per certo, non lo sa nessuno. Però, oggi a differenza di ieri, abbiamo alcune prove empiriche, reali e probabilmente inconfutabili sul fatto che Sybaris potrebbe non essere a Sibari… trovandosi altrove!
E quell’altrove è qui.
Proprio in questo momento, nella Sala Rossa di Palazzo San Bernardino a Rossano centro storico, dedicata alla memoria di Giovanni Sapia, il più illustre dei figli di Rossano di età contemporanea in conoscenza e sapienza, che come Dante al seguito di Virgilio attraversò ogni anfratto di quest’area del nord-est della Calabria costruendo consapevolezza, si sta tenendo una conferenza tecnico-storico-scientifica dalle risultanze straordinarie che potrebbero riscrivere la narrazione di questo territorio, che potrebbero dare una più autentica identità al popolo sibarita, e che – soprattutto – potrebbero aiutare il grande territorio del nord-est a ritrovare un’agognata omogeneità in un’unica e uguale radice che si estende dal Mostarico a Capo Trionto, dal Sinni al Nicà. Proprio nella gloria di Sibari. Un sogno identitario!
Ebbene, Nilo Domanico, un ingegnere non un archeologo – a testimonianza di come la ricerca storica muta grazie al supporto della scienza –, durante l’estate scorsa ha portato alla luce qualcosa che, potrebbe essere fuori dallo stereotipo della conoscenza classica attorno alla storia del territorio, così per come la conosciamo e di cui ci siamo indottrinati. Quasi quaranta metri in lungo di un’antica muraglia, che esimi studiosi di archeologia fanno risalire ad età thuriina, di Thuri, la città che venne costruita da Pericle dopo la distruzione di Sibari per mano di Crotone e su indicazioni dell’Oracolo di Delfi. Saranno le mura dell’antica Città Ideale? Questo ancora non lo sappiamo ma è proprio sulla ricerca di questa “verità” che oggi bisognerebbe lavorare tutti insieme senza machismi politici o di potere.
Dicevo, Nilo Domanico non è un archeologo, non è nemmeno uno studioso di storia antica. È un ingegnere che nella sua carriera professionale ha realizzato, tra le altre cose, il desiderio di un sultano di piazzare un giardino botanico nel cuore del Deserto dell’Oman. Un po’ come il genio della lampada nelle Mille e una Notte. Ma oggi non dobbiamo celebrare l’estro di un uomo e nemmeno la sua capacità di intrecciare scienza, mito e fonti storiche per arrivare ad una scoperta. Quello che da cittadini della Sibaritide oggi dobbiamo pretendere è capire, oltre ogni ragionevole dubbio, cosa è quel complesso di mura, quello che rappresentano, quello che ci dicono e quale verità storica portano con loro dal momento che si trovano circondate da altre rilevanze archeologiche che fino ad ora sono state direttamente connesse a Thurii e Sybaris senza però che Sybaris e Thurii siano mai stata scoperte.
Ed è qui che subentra la politica. Perché sperare di aver trovato quella città raccontata da Strabone e Diodoro Siculo, o Thurii, costruita da Ippodamo da Mileto e voluta da grande Pericle, dove visse e morì Erodoto, il padre della Storia, è un sogno che potrebbe sostenere il sogno di autonomia di questo territorio; uno spartiacque tra la Calabria e quest’altra Calabria; un ridisegnare confini, questa volta chiusi in una identità storica, toponomastica, politica chiara, circoscritta che è centrica e policentrica allo stesso tempo e che si ramifica a nord verso il Pollino, a sud verso la Sila, proprio lì dove i primi greci, quando sbarcarono, restarono ammaliati.
Sognare non costa nulla e semmai quell’antica muraglia ritrovata non fosse appartenuta a Sybaris né a Thurii, non importa; basta che serva a far ritrovare un po’ più di comunità e autorevolezza a questo territorio, avvinghiato come mai dalla morsa dei bizantinismi, della litigiosità e delle contrapposizioni ideologiche e campanilistiche. È un sogno – probabilmente - ma credo che il diritto a sognare non debba essere tolto a nessuno, perché chi lo soffoca evidentemente sa che quello è più che un sogno: è una realtà svelata.