13 ore fa:Castrovillari ospiterà la gara di enduro “Stone Wall Extreme”
12 minuti fa:Cropalati accende l'estate: torna "R...Estate" con un ricco cartellone tra cultura e tradizione | IL PROGRAMMA
14 ore fa: L’Unical ancora prima tra i grandi atenei statali nella classifica del Censis
16 ore fa:Mirto: conclusa la XII edizione dell’Estate Ragazzi nella parrocchia San Giovanni Battista
17 ore fa:Da inizio luglio 4 arresti dei Carabinieri per detenzione e spaccio di stupefacenti
17 ore fa:La Magnolia chiude l’anno con la rivisitazione teatrale della Divina Commedia
10 ore fa:«Stasi è fuori controllo». L'opposizione attacca ed evoca lo spettro del dissesto economico
12 ore fa:La storia millenaria del Moscato di Saracena al Vinitaly di Sibari
14 ore fa:Co-Ro tra gli 85 comuni finanziati dal progetto "Sport Illumina"
15 ore fa:Manca il farmaco salvavita, il calvario di una paziente oncologica: «Curarsi non deve essere un privilegio»

Dietro la violenza di genere: un fenomeno dalla profonda matrice culturale

2 minuti di lettura

Dall’inizio dell’anno sono morte 113 donne, una ogni tre giorni, quasi tutte uccise da un convivente o un familiare. Scavare dentro i meccanismi che alimentano e di cui si nutre la violenza di genere risulta sempre più complicato e doloroso. Non solo perché le vittime aumentano di anno in anno o perché il fenomeno non accenna ad arrestarsi, ma soprattutto perché il problema – all’apparenza riconosciuto in quanto tale e quindi drammatico sia nelle sue premesse che nei suoi effetti – sembra sempre ridursi a pura retorica e nuda ipocrisia.

Un’ipocrisia trasversale che non va mai oltre la frase di circostanza e che ritroviamo in tutti contesti e in tutte le classi socio-economiche, persino nelle istituzioni. Come definire, ad esempio, le dichiarazioni della Ministra per la famiglia e le pari opportunità, Eugenia Roccella, che sul caso Giulia Cecchettin si è espressa dichiarando che «nessuna legge avrebbe salvato Giulia» (ammettendo di fatto che lo Stato non può proteggere le sue cittadine), salvo poi affermare ieri in Senato che «la violenza va riconosciuta e condannata»? O l’affermazione del Ministro dell'Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, secondo il quale «il patriarcato non esite», pronunciata proprio durante la presentazione, alla Camera dei deputati, della Fondazione dedicata a Giulia Cecchettin? Le istituzioni, e insieme ad esse una buona parte della società, continuano a deresponsabilizzare sé stesse negando il fenomeno per non affrontarlo o per paura di riscoprirsene parte integrante. Minimizzano, tacciando chi lotta per questa causa di abbracciare una ideologia. Ma perché tanta difficoltà nell’ammettere e riconoscere la portata invasiva di questo problema?

Quando si affronta il tema ponendo al centro la matrice culturale e storica del fenomeno patriarcale che ha prodotto la disuguaglianza di genere – e che è alla base delle violenze che la cronaca e la quotidianità ci restituiscono ma che si tende ancora a negare – ci si trincera dietro il dato biologico e si minimizzano i comportamenti e le idee che non manifestano in modo chiaro i segnali di quella data cultura maschilista, poiché entrati a far parte dell’agire e del pensare comune. La reticenza risiede probabilmente nell’incapacità di porsi davanti al dato reale che richiede una certa ammissione di colpevolezza: il problema è dunque riscoprirsi parte di quel meccanismo. In più, molte di queste convinzioni sul rapporto tra i generi possono essere così radicate ed interiorizzate da apparire assolutamente ascrivibili al quadro valoriale in cui si è immersi e dunque accettabili. Spostarsi e vedere il fenomeno da una prospettiva diversa, più ampia è lo sforzo che si sta compiendo in questi anni di lotta e sensibilizzazione sul tema.

Il punto è che, forse, è solo nei gesti estremi ed eclatanti che si è capaci di riconoscere il reato mentre in molti atteggiamenti compiuti con superficialità – e nei quali si annida il potenziale pericolo di sopraffazione e abuso che non deve necessariamente sfociare in un delitto – ci si riscopre cechi ed incapaci di leggerne le eventuali ripercussioni negative o la traccia di un comportamento tossico e malsano. Ciò che dovremmo iniziare a comprendere seriamente, interrogandoci tutti, uomini e donne, è che a quel gesto estremo si arriva dopo una serie di piccole manifestazioni all’apparenza neutre.

Lo sforzo a cui siamo chiamati tutti sarà dunque, ancora, comprendere. Comprendere le radici, le ramificazioni e le manifestazioni del fenomeno in tutte le sue parti perché la violenza più brutale ed efferata è solo l’atto finale della storia: prima c’è tutta la vita.

Rita Rizzuti
Autore: Rita Rizzuti

Nata nel 1994, laureata in Scienze Filosofiche, ho studiato Editoria e Marketing Digitale. Amo leggere e tutto ciò che riguarda la parola e il linguaggio. Le profonde questioni umane mi affascinano e mi tormentano. Difendo sempre le mie idee.