Corpi in protesta: quando la delega non basta
Nei giorni scorsi alcuni manifestanti si sono riuniti davanti all’Asp di Cosenza per rivendicare il diritto alla salute. Ma cosa significa oggi protestare e che valore ha il dissenso?
Esiste una forza insita nei corpi che spesso sottovalutiamo. Quando ci difendiamo e rivendichiamo i nostri diritti, in realtà, difendiamo i nostri corpi. E ciò risulta tanto più vero quando il diritto in questione è il diritto alla salute.
Manifestare il proprio dissenso ed esercitare il diritto di critica appare, oggi, più rivoluzionario che mai. Tra il disegno di legge sulla «sicurezza» approvato dalla Camera dei deputati – che ci ha messi di fronte al più grande e pericoloso attacco alla libertà di protesta della storia della Repubblica – e la difficoltà di intavolare dibattiti costruttivi con le varie forze politiche (senza eccezioni di sorta), operare una critica forte e serrata contro il sistema significa compiere un atto di coraggio. La limitazione del diritto di protesta – per ora solo circoscritto nei confronti di opere di pubblica utilità - è il segnale vivo della sua intrinseca forza. Un popolo che chiede può essere più forte del potere che lo frena.
È vero, esporsi e lottare richiedono uno sforzo notevole ma risultano ancora un’arma potentissima. Ecco che allora, in una società che sembra virare verso un’organizzazione sempre più verticale, in cui l’individuo è strumento per il raggiungimento di ideali e scopi che alimentano solo i privilegi di chi si ritrova nei gradini più altri della scala gerarchica, la partecipazione attiva e la considerazione delle persone come fine rientrano nelle azioni necessarie. In contesti come il nostro, poi, in cui tutto questo ha raggiunto un drammatico punto di non ritorno, il risveglio della collettività e la costruzione di una società orizzontale e consapevole sono quanto mai auspicabili.
Chi si sottrae a questo richiamo non può dirsi vero cittadino di una comunità. Il dissenso, attraverso la forza dei corpi in rivolta, è l’unico strumento che ci resta quando la politica fallisce gli obiettivi e tradisce sé stessa. Ma anziché insistere sui limiti della politica contemporanea e sulla sua inadeguatezza rispetto alle sfide e alle urgenze del nostro tempo, dovremmo iniziare a spostare il focus sul nostro agire interrogandoci su come abitiamo il presente, con quali aspirazioni e con quanto senso di responsabilità e di compartecipazione.
Parlare del fallimento della politica ci sta esponendo al rischio di risultare ripetitivi perdendo d’incisività ma soprattutto ci sta mettendo difronte alla deresponsabilizzazione dei singoli cittadini e dell’intera collettività, chiamata ad un serio e profondo esame di coscienza.
Riappropriarsi dunque degli spazi pubblici per manifestare la propria contrarietà rispetto a quanto propone la classe politica può essere una delle strade da percorre. Il tutto assolvendo al doppio compito di difendere i diritti e la possibilità stessa di continuare a protestare.