C'è un'equazione fondamentale che bisogna comprendere: non c'è turismo senza industria
Dai Bretti ai Bizantini, passando per i Greci, la millenaria storia di questo territorio (e la sua epopea) non si è formata sul turismo ma sulla produzione intensiva. Oggi la stiamo perdendo per rincorrere falsi miti
La Sibaritide, il Pollino, l’Arberia, la Sila Greca; i borghi, le acque dello Jonio, i boschi millenari, la cucina, il metodo antico… la Calabria del nord-est è un luogo bellissimo, un’oasi di sussistenza. Ma possiamo vivere solo di questo? Ormai è una domanda ricorrente e che divide, tra quanti vorrebbero che qui si possa creare una economia felice basata solo sul turismo e quindi sulla valorizzazione di quanto già c’è, è consolidato e ci hanno restituito secoli di storia; e chi invece spinge per avere lavoro, pane e dignità.
Dall’ingegnosità dei popoli autoctoni alla magnificenza della Magna Graecia, dai romani ai bizantini, è un pullulare di mitologia e storia che tutti ci invidiano e che potremmo mettere a sistema. Eppure non lo facciamo.
Non lo facciamo perché ci manca la consapevolezza di quello che siamo. E se ci manca la consapevolezza è perché siamo sempre meno interessati a quello che ci sta attorno e su dove mettiamo i piedi. Effetto di una vita che per molti, moltissimi di noi è fatta di stenti e sacrifici che allontano l’interesse individuale da quello collettivo. Del resto, come biasimare un padre di famiglia disoccupato o bracciante agricolo che con la miseria del suo stipendio preferisce più garantire un pezzo di pane ai suoi figli che non regalargli un libro? Ed è qui che si innesca il meccanismo mortale del disinteresse alla cultura.
E allora è giunto il momento che vi sveli un segreto: i Bretti, i Greci e poi ancora i Romani, i Bizantini, gli Albanesi della diaspora che hanno abitato questo nostro territorio, non vivevano di turismo!
Erano produttori di vino e forse i primi ad aver inventato il metodo di conservazione del nettare degli dei; erano agricoltori intensivi tanto da essere degli industriali ante-litteram del badile, esportavano derrate e mercanzie in tutto il mondo; erano artigiani dell’argilla e del bronzo con un “made in Sybaris” che era invidiato in tutto il Mediterraneo; ma erano anche armatori, carpentieri, cantieristi navali (l’imperatore di Costantinopoli Niceforo Foca volle far costruire proprio nel porto di Rossano una delle sue più importanti flotte da guerra); per arrivare alla storia più recente con le diverse ciminiere di opifici che si innalzavano nella piana o nel Trionto dove venne eretta una delle prime centrali idroelettriche della storia post-unitaria. Insomma, in questa terra che oggi si re-inventa oltranzista integralista delle politiche del turismo – senza sapere, tra l’altro, dove poter mettere le mani – c’era l’industria, c’è sempre stata l’industria di qualità, che oggi chiameremmo artigianato, ma che un tempo era produzione a tutto spiano. Che portava benessere. E fu proprio sulle ceneri di questa antica produttività, di questa industria primordiale, che oggi potremmo fare turismo ma senza interrompere la catena.
Esiste, quindi, un'equazione fondamentale che dobbiamo comprendere: "Senza industria non c'è turismo". Può sembrare controintuitivo, ma è pruriginosamente vero.
L'industria genera lavoro stabile e ben retribuito. Questo lavoro crea benessere nelle famiglie e nella comunità. Il benessere, a sua volta, innesca un processo economico virtuoso: le persone acquistano case, accedono a servizi sociali, investono nell’educazione. Questo processo economico, dunque, alimenta la cultura, aumentando la consapevolezza e la conoscenza del nostro territorio.
E qui sta il punto cruciale, una popolazione più colta, consapevole e prospera è il miglior promotore del proprio territorio: conosce la sua storia, apprezza le sue bellezze, sa come valorizzarle. Questa promozione "dal basso" è il marketing territoriale più autentico e efficace, che a sua volta attira un turismo di qualità.
Quindi, paradossalmente, per avere un turismo florido e sostenibile, abbiamo bisogno di una base industriale solida. E qui non si parla dell’immagine stereotipata delle fabbriche con le ciminiere che emettono fumi tossici o di sviluppo selvaggio. Ma di un'industria moderna, sostenibile, che rispetti il nostro ambiente e valorizzi le nostre risorse.
Pensiamo alla trasformazione o l’export dei nostri prodotti agricoli autentici (magari eliminando per sempre quella malsana abitudine di acquistare prodotto estero per fare massa e rivenderlo come se fosse produzione locale!); pensiamo all'artigianato di alta qualità, alle tecnologie verdi. Ma immaginiamo anche poli di produzione industriale metalmeccanica, alla carpenteristica, che fanno innovazione, che fanno ricerca, che attirino giovani talenti e che creerebbero nuove infrastrutture sul territorio o metterebbero a regime quelle esistenti. Questi settori non solo creerebbero occupazione stabile, ma aggiungerebbero valore al nostro territorio, rendendolo ancora più attraente per i visitatori.
Non possiamo permetterci di chiudere le porte in faccia alle proposte di sviluppo industriale, soprattutto se queste sono sostenibili e portano un reale beneficio in termini di occupazione e qualità della vita.
Il turismo potrebbe diventare una parte importante della nostra economia, ma non può essere l'unica. Sicuramente non ci sarà alcun turismo se alle spalle non avremo la forza indiscussa del benessere che viene generato dalla produzione industriale.